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Usa ammettono: iprite usata in test razziali durante la Seconda Guerra Mondiale

by Paolo Mauri
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racetest2Washington, 23 giu – Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha ammesso per la prima volta nella storia di aver condotto test razziali su truppe americane durante la Seconda Guerra Mondiale per verificare la diversa reazione della pelle più o meno pigmentata all’esposizione del gas iprite.

Secondo l’emittente Npr, la radio pubblica nazionale, almeno 60 mila soldati sono stati coinvolti in esperimenti durante il secondo conflitto mondiale per verificare la diversa reazione della pelle di varie etnie all’esposizione di vari gas tossici, tra cui anche il famigerato gas iprite, che prende il nome dalla località belga delle Fiandre, Ypres, dove fu utilizzato per la prima volta durante la Prima Guerra Mondiale, nell’aprile del 1915.

Il diclorodietilsolfuro, comunemente detto iprite appunto, o gas mostarda, è un liquido oleoso, incolore dal caratteristico odore di aglio o senape che ha la caratteristica di essere un vescicante di estrema potenza. Vaporizzato in forma di aerosol questo gas risulta molto persistente a causa delle sue caratteristiche fisiche (punto di ebollizione e tensione di vapore). L’iprite è liposolubile, ovvero si scioglie nei grassi, perciò ha la capacità di penetrare in profondità nella pelle esposta provocando terribili piaghe. E’ sufficiente una concentrazione di 1300 mg/min/m3 di questo gas per risultare letale per l’essere umano, ma una quantità di soli 200-1000 mg/min/m3 è sufficiente per causare cecità, vesciche e bruciature inabilitanti.

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Effetti dell’iprite (archivio US Army)

Questo test, tenuto segreto sino al 1993 negli archivi del Dipartimento della Difesa, ma che solo ora a 20 anni di distanza è venuto alla conoscenza del pubblico, aveva lo scopo di stabilire la differente reazione della pelle all’esposizione a questo gas vescicante a seconda della diversa pigmentazione. Così furono coinvolti, nei 60 mila soggetti esposti, soprattutto neri ma anche ispanici e nippo-americani.
Oggi le testimonianze dei sopravvissuti fioccano: “Mi sentii come se stessi andando a fuoco” ricorda il soldato Edwards, afroamericano in forza all’esercito americano “Le persone iniziarono a urlare e strillare tentando di scappare, e poi qualcuno svenne, finalmente aprirono la porta (della camera a gas in cui erano rinchiusi n.d.r.) e ci lasciarono uscire, tutti erano in pessime condizioni”.

Glenn Jenkins, allora marinaio 17enne sottoposto al medesimo trattamento non recuperò mai più la salute; Nathan Schumann, sempre della US Navy, ricorda che gli fu chiesto di testare le uniformi estive: “Pensavo di fare un viaggio il Florida – ricorda l’allora giovane marinaio – invece fui condotto in un piccolo accampamento militare in Maryland dove mi rinchiusero in una camera a gas, mi diedero una maschera e mi dissero che l’esperimento consisteva nel verificare la resistenza dell’equipaggiamento all’esposizione al gas velenoso”.

“Guardai verso il soffitto – prosegue Schumann – e vidi una nebbia giallo scura scendere”, quando qualcosa non funzionò nella sua maschera antigas chiese di poter uscire ma gli fu negato il permesso. Cominciò a vomitare ed ebbe un attacco cardiaco prima di svenire e risvegliarsi fuori dalla stanza in cui era avvenuto il terribile esperimento.
I soldati dalla pelle bianca infatti, erano usati come gruppo di controllo per verificare gli effetti dell’esposizione dell’iprite su soggetti “normali”.
Russell O’Berry ricorda anche che “Qualcuno si rifiutò di entrare nella camera a gas e fu dato loro un ordine diretto. Ci dissero che se non fossimo entrati ci avrebbero condannato a 40 anni di detenzione a Fort Leavensworth (prigione militare n.d.r.)

Questi esperimenti non servirono a nulla, in quanto l’iprite non fu usata dai belligeranti durante il Secondo Conflitto Mondiale, sebbene, come è ormai noto, gli americani trasportarono in Italia, nel porto di Bari per l’esattezza, tonnellate di questo gas tossico temendo che venisse usato dai tedeschi sul fronte italiano. Gas che si liberò causando più di 1000 morti civili ed innumerevoli intossicati a seguito del bombardamento tedesco del 2 dicembre 1943.

Il colonnello dell’esercito Steve Warren, direttore dell’ufficio stampa del Pentagono, si affretta a prendere le distanze da questo tragico avvenimento, intervistato dalla Npr sostiene che “La prima cosa da chiarire è che il Dipartimento della Difesa non conduce più test di armi chimiche” sottolineando la diversa condotta delle forze armate americane oggi rispetto a 70 anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Paolo Mauri

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