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Usa, Cina e Francia: ecco chi muove le proprie mire sull’Africa

by La Redazione
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Roma, 1 gen – Se la Francia sta costruendo in Africa un dispositivo di intelligence economica sia difensivo che offensivo, ciò dipende dal fatto, a partire soprattutto dal 2008, ha ritenuto opportuno intervenire nello scacchiere del continente nero per difendere i propri interessi nazionali.

Proprio dal 2008 la “realtà africana” ha infatti generato una nuova tendenza per attori importanti nel contesto dell’intelligence economica come Oxford Business Group (nel Regno Unito), Fuld & Company (negli Stati Uniti) e GICI Institute for Competitive Intelligence (in Germania). Ebbene, al di là delle cinque sorelle africane che si occupano professionalmente di intelligence economica (SGMB Bank in Marocco, Kenya Airways, Orascom in Egitto, MTN e Vodacom in Sud Africa), la Francia intende difendere interessi geoeconomici ben precisi e, fra questi, quelli del gruppo Bolloré che con 200 filiali in 43 paesi copre aree strategiche come il trasporto marittimo e ferroviario, la logistica mineraria, industriale e petrolifera. Dal 2004, la multinazionale ha rilevato la gestione di molti terminal container come Abidjan in Costa d’Avorio, Douala in Camerun, Cotonou in Benin, Lomé in Togo, Pointe-Noire in Congo, Tama in Ghana o Tincan in Nigeria. Poiché controlla i punti di entrata e di uscita del continente, il gruppo bretone ha un’eccezionale finestra di osservazione, poiché l’Africa è come un’isola collegata al mondo dai mari. Quindi chi tiene le gru tiene il continente.

Oggi questa posizione di egemonia geoeconomica, è contrastata dalla presenza americana e cinese. Ben prima dell’avvento di Barack Obama alla Casa Bianca, il soft power americano aveva conquistato l’Africa. Gli attacchi dell’11 settembre 2001, la lotta contro il terrorismo islamista e la decisione degli Stati Uniti di aumentare del 15-25% le loro importazioni di greggio africano hanno aumentato la presenza militare statunitense nel continente. Ufficialmente attiva dal 1 ottobre 2008, la missione di AfriCom è quella di sviluppare una cooperazione militare con i Paesi africani, sostenere le missioni non militari e condurre operazioni militari nel continente africano se vengono decise dal governo degli Stati Uniti. La sua giurisdizione si estende a tutti gli Stati membri dell’Unione africana, ad eccezione dell’Egitto. Le infrastrutture militari del Golfo di Guinea, ad esempio, mirano a controllare la parte occidentale della rotta petrolifera trans-africana e le riserve vitali di petrolio grezzo che sono state scoperte lì. Le aziende non sono tralasciate. Considerato spesso l’equivalente americano del Consiglio degli investitori francese in Africa, il Corporate Council on Africa (CCA) è stato creato nel 1993 con la missione ufficiale di facilitare e rafforzare le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Africa. Infatti il CCA mantiene strette relazioni con governi, diplomatici e reti aziendali con l’obiettivo dichiarato di migliorare il clima degli investimenti in Africa e aumentare la sua presenza nella comunità imprenditoriale globale. Riunisce circa 200 aziende (l’85% degli investimenti privati ​​statunitensi) e oltre alla consulenza in Intelligence economica, il CCA offre alle aziende associate vari programmi di formazione e sensibilizzazione.

Enorme riserva di materie prime, l’Africa subsahariana alimenta più che mai l’avidità delle potenze economiche asiatiche come la Cina. Nel 2009, Pechino ha erogato 10 miliardi di dollari in prestiti ed esenzioni tariffarie per il 95% dei prodotti provenienti da paesi africani meno sviluppati che hanno relazioni diplomatiche con il fu celeste impero. Con un volume di 120 miliardi di dollari, la Cina è diventata il secondo maggior partner economico del continente, dietro gli Stati Uniti. Le importazioni cinesi dall’Africa sono per lo più materie prime (85%) mentre le esportazioni verso l’Africa sono costituite per il 94% da manufatti.

Il nostro Paese non solo non può e non deve rimanere escluso o ai margini di questo grande gioco per l’egemonia (ritagliandosi magari un piccolo quanto mediocre margine di manovra che le consente di sopravvivere) ma dovrebbe, al contrario, sviluppare e consolidare al più presto un dispositivo offensivo di intelligence economica sullo scacchiere africano utilizzando a proprio vantaggio – a nostro modo di vedere – la duttilità e la fecondità metodologica dell’approccio della Scuola di guerra economica francese.

Giuseppe Gagliano

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