Roma, 20 giu – La battaglia di Hodeida, ultima città costiera rimasta sotto il controllo degli Houthi, la milizia della minoranza sciita dello Yemen che si oppone al governo in esilio (sostenuto militarmente da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti – EAU), rappresenta la vera chiave di volta del conflitto, che ha causato decine di migliaia di morti e che rischia di trasformarsi in una catastrofe umanitaria con pochi precedenti. Da tre anni, nonostante l’intervento saudita ed emiratino, che ha dato alla Guardia Repubblicana Yemenita una potenza di fuoco infinitamente superiore a quella di cui dispongono gli Houthi, oltre che il supporto tattico e strategico delle aeronautiche militari delle due monarchie del Golfo, la situazione è di sostanziale stallo, e neanche il colpo di scena del cambio di fronte da parte dell’ex presidente Saleh, immediatamente liquidato, e delle milizie a lui fedeli è riuscito a mettere in ginocchio i ribelli sciiti.
Ora il presidente Hadi, rifugiatosi a Riad all’inizio del conflitto, e soprattutto l’interessatissimo Stato Maggiore saudita, stanno giocando la carta dell’assedio totale alla parte occidentale del Paese, e la presa di Hodeida è fondamentale per realizzare questo piano. Infatti, il principe ereditario saudita, nonché ministro della Difesa, Mohammed Bin Salman, vero regista dell’intervento del Regno nella guerra civile yemenita, dopo i rovesci subiti dai suoi alleati islamisti in Siria e le infinite figuracce collezionate nello Yemen, con il macabro corollario di tremila soldati caduti, spinge per la presa dell’unico porto da cui gli Houthi possono ricevere aiuti militari dall’Iran (ma anche l’unico punto da cui possono passare gli aiuti umanitari essenziali per la vita di milioni di yemeniti). La battaglia, iniziata con la distruzione di una nave della coalizione sunnita ad opera degli Houthi, sembra ora favorire gli attaccanti, che avrebbero quasi completato la presa dell’aeroporto, a sud della città, e si preparerebbero ad assaltare i quartieri centrali e soprattutto il porto.
Hodeida contava, prima della guerra, circa mezzo milione di abitanti, ed è quindi immaginabile quale potrebbe essere il costo della battaglia in termini di vite umane, visto che difficilmente gli Houthi cederanno terreno senza combattere casa per casa. E infatti gli allarmi delle Nazioni Unite, rimasti al momento totalmente inascoltati, parlano di altre decine di migliaia di possibili vittime. Peraltro, se anche l’azione militare dovesse avere l’esito sperato, portando a un totale assedio delle forze ribelli, completamente circondate, è probabile che si tratterebbe di un momento sì decisivo, ma non definitivo del conflitto. Per tre motivi principali. Il primo è che gli Houthi, che in caso di sconfitta rischiano il genocidio, troverebbero comunque il modo di continuare a combattere, almeno per diversi mesi. Il secondo motivo è che non si può escludere una reazione dell’Iran, che in funzione anti-saudita sostiene gli Houthi, e che probabilmente cercherebbe di far arrivare ai ribelli gli armamenti sufficienti a continuare la guerriglia più a lungo possibile, infliggendo all’esercito di Riad un numero considerevole di perdite. Infine, ed è un aspetto che molti sottovalutano, fra gli attaccanti ci sono consistenti reparti del Movimento Meridionale, un gruppo separatista, supportato dagli EAU, che già negli scorsi mesi si è opposto in armi agli alleati delle Guardia Repubblicana, prendendo militarmente Aden, la capitale provvisoria, nonché capitale storica dello Yemen del Sud.
E di fatto, anche se sono espressioni di due comunità fra loro ostili (sciiti i primi, sunniti i secondi) e al momento si stanno combattendo, Houthi e Movimento Meridionale hanno interessi che si possono definire parzialmente convergenti, e questo potrebbe portare a nuove amare sorprese per Mohammed Bin Salman e i suoi piani di egemonia regionale. Anche perché, tornando all’aspetto militare, se gli Houthi stanno combattendo una disperata battaglia difensiva a Hodeida, va anche detto che alcuni loro reparti hanno di recente occupato delle montagne situate a poche decine di chilometri da Aden, tuttora occupata dalle milizie separatiste. Se quest’ultimo scenario andasse in porto – e per il momento non c’è nessun segnale concreto in questo senso – per i Sauditi sarebbe un disastro, anche perché andrebbe ad acuire le frizioni che hanno avuto con gli Emirati, compagni di viaggio in quest’avventura anti-sciita. E per Bin Salman, che è di casa a Downing Street, all’Eliseo e alla Casa Bianca, ottenendo dai rispettivi governi ricchissime forniture di armi da usare nello Yemen, che si interfaccia spesso con Putin per non lasciare campo libero agli Iraniani, che sta allacciando relazioni – ancora semiclandestine – con Israele, sarebbe probabilmente un duro colpo per le sue ambizioni geopolitiche, anche in considerazione del fatto che invece, poco più a nord, il progetto di Teheran che mira alla creazione del corridoio sciita dall’Afghanistan al Mediterraneo sta procedendo a gonfie vele.
In quel caso dovrà accontentarsi di passare alla storia come colui che ha fatto avere la patente alle saudite.
Mattia Pase
Yemen, una guerra infinita: tra genocidio ignorato e possibile riscatto
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