Roma, 10 dic – Correva l’anno 2001 quando parte del gruppo squadra dell’Inter si concesse una scappatella finita nelle carte della questura. «I festini a luci rosse dei giocatori? Non ne so niente…quando escono non mi chiamano mai»: ci pensò Peppino Prisco, ex tenente alpino e noto dirigente interista, a chiudere ogni questione mediatica con la sua elegante e tagliente ironia. Madre bauscia e padre partenopeo, il 10 dicembre 1921 nasceva nel capoluogo meneghino l’indimenticato avvocato del pallone italiano. Dopo aver servito l’Italia durante il secondo conflitto mondiale, si mise alle dipendenze della (decisamente) più profana causa nerazzurra. Chissà come avrebbe sarcasticamente liquidato le stucchevoli polemiche sull’ormai “famoso” raduno riminese delle sue amate penne nere…
Il colpo di fulmine per l’Ambrosiana
Aprile 1930. Ancora bambino, scopre l’amore viscerale per l’Ambrosiana quasi casualmente. Colpa – o merito, dipende dai punti di vista – dei coniugi Bussola. Amici di famiglia che dopo una stracittadina vinta all’inglese convincono (con una scatola di dolci) il piccolo Giuseppe ad assistere a una partita della Beneamata. Il colpo di fulmine arriva quindi al “Virgilio Fossati”, l’allora campo da gioco dell’Inter dedicato al suo secondo capitano, eroe di guerra caduto nei combattimenti del primo conflitto mondiale. I nerazzurri traslocano all’Arena Civica e il ragazzo, fervente lettore de Il Calcio Illustrato, continua a praticare il rito domenicale “in trasferta o giù in città”. Come quella volta a Bari nel 1938, quando le reti di Meazza e Frossi regalarono al Biscione il quarto scudetto della propria storia.
Prisco, alpino e interista
Studente di Giurisprudenza, Peppino si arruola negli alpini. La seconda guerra mondiale lo porta fino alla steppa russa: con il grado di tenente, è inquadrato nella Divisione Julia. Un raggruppamento il cui valore in quelle fredde terre verrà riconosciuto anche dalla Wehrmacht. Storie di guerra e pallone, come quello di cuoio portato al fronte. O come quel giornale italiano barattato – forse con del cibo – sulla via del ritorno per vedere l’ultimo risultato della sua Inter. Tra i pochi del Battaglione L’Aquila a rientrare in Italia, l’avvocato diventerà una presenza fissa ai raduni annuali delle penne nere.
Dai popolari alla vicepresidenza
Gran lavoratore – spesso si chiudeva in studio anche la domenica – in aula sapeva essere lucido e glaciale. Passione ed emotività rimanevano circoscritte nell’ambito sportivo, ovvero sulle gradinate. Che nel secondo dopoguerra non prendono più la forma dei settori popolari ma si avvicinano via via alle poltroncine della tribuna d’onore. Socio, segretario, consigliere, vicepresidente: in poco più di tre lustri il principe del foro meneghino scala anche le posizioni della società nerazzurra. E’ il tempo della presidenza di Moratti padre, la Grande Inter che domina l’Italia e l’Europa. Mezzo secolo di soprintendenza, il più accanito dei sostenitori “prestato” a funzioni dirigenziali. Ruolo che – insieme all’avanzare dell’età – gli impediscono di realizzare un piccolo (ma significativo) desiderio, ossia «vedere una partita in mezzo ai Boys». Manco a dirlo, vittime preferite delle sue stoccate, i cugini del Milan.
La figurina di Ronaldo
Fautore del ritorno della Beneamata nelle mani dei Moratti, rinfacciava scherzosamente al figlio di essere troppo obiettivo nelle questioni del tifo. Suo d’altronde l’adattamento in salsa calcistica di una fortunata espressione latina, typhare necesse est. La sera del 9 dicembre 2001 Prisco, alpino e interista, festeggia ottant’anni ospite di Controcampo. La verve – forse ringalluzzita dal bacio d’auguri di Luisa Corna, più probabilmente dal ritorno al gol di Ronaldo – è quella di sempre. A proposito: leggenda vuole la figurina del brasiliano nel portafoglio, in mezzo ai ricordini dei genitori. «Il top sarebbe morire ma con 48 ore di preavviso» si lasciò scappare in diretta televisiva. Sia per sbrigare le ultime pratiche, sia per convertirsi al rossonero «così, giusto per averne uno in meno». Una battuta quasi profetica. Tre giorni più tardi un malore improvviso lo ricongiunse con le penne nere andate avanti prima di lui.
Marco Battistini