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Se dovessi uscire dalla Grazia di Dio: la folle e geniale vita di Shane MacGowan

by Roberto Johnny Bresso
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Shane MacGowan morte

Roma, 10 dic – Lo scorso 30 novembre a Dublino, all’età di 65 anni, è morto l’ex frontman dei Pogues Shane MacGowan. Considerata la sua totale vita sregolata e le sue tremende condizioni di salute da decenni, la notizia non può certo essere considerata una sorpresa, ma in fondo credevamo che avesse raggiunto una sorta di immortalità che lo facesse arrivare all’ennesimo Natale, giorno tra l’altro del suo compleanno.

Shane McGowan, una vita di eccessi

Nato nel 1957, da famiglia irlandese originaria di Tipperary, a Tunbridge Wells (cittadina del Kent nota anche per avere dato i natali a Peter Adolph, inventore del Subbuteo, ed allo storico capo dei famigerati Chelsea Headhunters Stephen Hickmott), viene folgorato sulla via del punk nel 1976, quando assiste ad un concerto dei Sex Pistols. Inizia quindi a presenziare a tutti i concerti (presenziare è un eufemismo, visto che il suo celebre sorriso sdentato ed i suoi comportamenti autodistruttivi lo pongono immediatamente al centro dell’attenzione) ed a scrivere una fanzine con lo pseudonimo di Shane O’Hooligan. Subito dopo forma il suo primo gruppo, The Nipple Erectors (più tardi accorciato in The Nips), con i quali si esibisce come spalla anche di band del calibro di Clash e Jam.

Nel 1981 conosce Spider Stacy e Jim Finer e decide di creare un gruppo che unisse l’energia del punk con la tradizione del folk irlandese. Si fanno chiamare prima Millwall Chainsaw, poi The New Republicans ed infine Pogue Mahone, frase che in gaelico significa “Baciami il culo”. Per poter pubblicare con un’etichetta discografica sono quindi obbligati a modificare il nome nel definitivo The Pogues. Dopo i primi due album di buon successo la fama internazionale arriva definitivamente nel 1987 con il capolavoro assoluto If I Should Fall from Grace with God, disco praticamente perfetto che contiene anche la canzone che è stata eletta come il pezzo di Natale più bello di sempre, vale a dire Fairytale of New York, ballata alcolica nella quale Shane duetta con la cantate Kirsty MacColl (scomparsa nel 2000 in seguito ad uno sfortunato incidente durante un’immersione subacquea in Messico).

Dipendenze e tunnel senza uscita

Purtroppo da lì in poi la dipendenza di Shane da alcol e droghe si fa sempre più accentuata e ciò contribuirà ad un calo delle prestazioni sia in fase compositiva che negli spettacoli dal vivo (spesso prevedere se si fosse presentato al concerto era una vera e propria scommessa), fino all’allontanamento dal gruppo, avvenuto nel 1991. Fonda poi i The Popes, ma successivamente si riappacifica con i suoi vecchi compagni dei Pogues ed inizia con loro ad effettuare reunion annuali, fino a quando la salute glielo ha consentito. Questo è lo Shane MacGowan artista, ma è assolutamente impossibile distinguere la figura del cantante da quella dell’uomo. Che poi definirlo cantante è assolutamente riduttivo: Shane era anche un poeta, uno scrittore ed un disegnatore, ma soprattutto era un uomo affamato di vita che non sapeva venire a patti con i propri demoni. Nei momenti più alti della sua vena artistica le sue composizioni erano delle vere e proprie poesie che vanno lette anche al di là della magnifica musica che le accompagnava. Shane era il compagno di bevute che avresti voluto al tuo fianco al bancone del pub, quello con il quale non ti saresti mai annoiato, con il quale da ubriaco urlare canzoni a squarciagola. Ma Shane non era solo la persona divorata dalla bramosia di vita o colui con il quale, nel suo periodo migliore, anche le star di Hollywood amavano farsi fotografare (Johnny Depp invece gli rimase leale amico fino alla fine), era anche un marito fedele (la moglie Victoria Mary Clarke gli è stata accanto fino all’ultimo) ed un tifoso di calcio, dell’Everton per la precisione, che amava andare allo stadio con i suoi amici.

Certo, MacGowan è stato anche una figura controversa: le sue dipendenze non lo hanno reso la più coerente delle figure, ovviamente. Buddista e cattolico allo stesso tempo, in gioventù non non si faceva problemi ad ostentare la Union Jack, salvo poi negli ultimi anni dichiararsi un fervente sostenitore dell’Ira. Il suo più celebre successo, Fairytale of New York, negli ultimi anni è stato anch’esso investito dall’onda woke, a causa del termine faggot (parola inglese spregiativa per chiamare i gay) contenuto nel testo, tanto che tante radio hanno iniziato a diffonderne una versione censurata. Shane però ha sempre contestato la cosa, in quanto il termine va chiaramente contestualizzato nella storia narrata dalla canzone, canzone che, tra l’altro, è tornata prepotentemente in auge proprio in questi giorni, visto il decesso di Shane nel periodo natalizio.

Voglio concludere con un aneddoto personale su di lui: avendolo sempre adorato come artista sono riuscito a vederlo esibirsi due volte (e vista la sua assoluta inaffidabilità posso ritenermi molto fortunato). La prima a Milano, dove si è presentato in condizioni pietose, cadendo addirittura dal palco e dovendo essere sostituito alla voce per una decina di minuti. La seconda invece a Londra di spalla ai Madness: all’epoca Shane risiedeva nella capitale inglese, quindi deduco sia uscito esclusivamente per esibirsi. Ebbene, si è presentato lucidissimo e con una benda da pirata su un occhio! Risultato? Un’esibizione ai limiti della perfezione. Caro vecchio Shane, grazie di tutto! Ed ogni Natale, quando sentiremo la tua ballata etilica, non potremo fare a meno di alzare una pinta al cielo e dedicarti l’ennesimo brindisi.

Roberto Johnny Bresso

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