Parigi, 19 ott – L’Ocse non prevede un futuro roseo per le giovani generazioni in Italia. Secondo il rapporto “Preventing Ageing Unequally” dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico: “Negli ultimi trenta anni il gap tra le vecchie generazioni e i giovani in Italia si è allargato. Il tasso di occupazione, tra il 2000 e il 2016 è cresciuto del 23% tra gli anziani di 55-64 anni, dell’1% tra gli adulti di età media (54-25 anni) ed è crollato dell’11% tra i giovani (18-24 anni)”. In Italia, spiega l’Ocse, “le ineguaglianze tra i nati dopo il 1980 sono già maggiori di quelle sperimentate dai loro parenti alla stessa età”. E, poiché “le diseguaglianze tendono ad aumentare durante la vita lavorativa, una maggiore disparità tra i giovani di oggi comporterà probabilmente una maggiore diseguaglianza fra i futuri pensionati, tenendo conto del forte legame che esiste tra ciò che si è guadagnato nel corso della vita lavorativa e i diritti pensionistici”. In sintesi oggi le cose vanno male ma in futuro andranno anche peggio.
Vediamo perché. Iniziamo dai lavoratori dipendenti. La Fondazione Di Vittorio qualche settimana fa lanciava l’allarme a proposito del lavoro precario. Secondo questo studio gli occupati sono tornati al livello del 2008, sopra quota ventitré milioni, ma per effetto di una crescita record dei contratti a tempo determinato, arrivati ad agosto 2017 a toccare quota 2,8 milioni, la più alta dal 2004, con un aumento di quasi un milione (650 mila in più rispetto ai minimi del 2013 e circa 750 mila nei confronti dell’altro punto di minimo a metà 2010). Il risultato di questa precarietà diffusa è il calo delle ore lavorate: il 5,8% in meno dai massimi pre-crisi (10,9 miliardi del secondo trimestre 2017 contro 11,6 miliardi del 2008). Questi dati portano a due conseguenze: contrazione salariale nel breve periodo e pensioni più basse nel lungo periodo. I contributi versati all’Inps sono direttamente proporzionali agli stipendi. Senza contare poi che i contratti precari portano inevitabilmente a periodi di inattività forzata. Ecco, dunque le cause del quadro a tinte fosche tracciato dall’Ocse. Se il jobs act voleva incentivare i contratti a tempo indeterminato ha sicuramente fallito. Gli sgravi per i neo assunti contenuti nella prossima Legge Finanziaria dimostrano quanto appena detto.
In questi anni, infatti, l’errore di fondo è stato quello di investire risorse sulla domanda di lavoro e non sull’offerta. In breve se non c’è lavoro è inutile promuovere politiche fiscali di decontribuzione per gli imprenditori che assumono. Il lavoro riparte solo con gli investimenti pubblici che oggi sono ridotti al lumicino. Questo, però, è stato (ed è) quello il nostro tallone d’Achille. Dal 2005 al 2017, secondo la Cgia di Mestre, la contrazione è stata del 20%; ma rispetto al 2009, punta massima di crescita registrata prima della crisi, la riduzione è stata pesantissima: -35%. Nessun altro indicatore economico ha registrato una caduta percentuale così rovinosa. A pagare maggiormente è stato il settore della mobilità, con la ricerca e l’amministrazione generale. In conclusione, il divario generazionale, denunciato dall’Ocse, non è affatto causato dagli sprechi (seppur esecrabili) fatti negli anni della prima Repubblica, ma dalla politica di austerità che sta soffocando l’Italia e l’intera Europa.
Salvatore Recupero
1 commento
I giovani li vogliono sempre più poveri, gli anziani “campano troppo in pensione” e hanno da crepa’ e con pensioni sempre più basse creperanno davvero, che botta di ****.. fortuna: ho 50 anni…
W l’itaGlia