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Allarme Cgia: la pressione fiscale "reale" è al 48,3%, 6,1 punti in più di quella ufficiale

by Adolfo Spezzaferro
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Roma, 28 lug – La Cgia di Mestre lancia l’allarme: sui contribuenti italiani che pagano le tasse pesa una pressione fiscale “reale” che si attesta al 48,3%: 6,1 punti in più rispetto a quella ufficiale. E sebbene sia in calo dal 2014, la soglia raggiunta quest’anno rimane ancora ingiustificatamente elevata: il peso complessivo del fisco “rimane comunque ad un livello insopportabile”. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia. “Se alle troppe tasse – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeoaggiungiamo il peso oppressivo della burocrazia, l’inefficienza di una parte della nostra Pubblica amministrazione e il gap infrastrutturale che ci separa dai nostri principali competitori economici, non c’è da stupirsi, come è emerso in questi giorni, che serpeggi un certo malessere soprattutto tra gli imprenditori del Nordest. Tra le altre cose, a causa di tutte queste criticità – prosegue – continuiamo a rimanere il fanalino di coda in Ue per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri“.
Secondo l’Ocse, prosegue Zabeo, “lo stock di investimenti diretti esteri in Italia in rapporto al Pil era, nel 2017, al 21,4%. Nessun altro Paese europeo ha registrato un risultato inferiore al nostro. In altre parole continuiamo a non essere attrattivi”.
E secondo il segretario della Cgia, Renato Mason, c’è dell’altro: “Oltre all’imponente sforzo economico che anche quest’anno i contribuenti sono chiamati a sostenere, gli italiani devono sopportare anche un costo aggiuntivo legato alle difficoltà nell’adempiere agli obblighi tributari. Secondo gli ultimi dati della Banca mondiale, infatti, in Italia sono necessarie 238 ore all’anno per pagare le tasse, contro le 139 richieste in Francia e le 110 previste nel Regno Unito. Un gap che ci fa capire quanto la cattiva burocrazia presente nel nostro Paese abbia allungato ingiustificatamente i suoi tentacoli”.
I conti degli artigiani veneti sono preoccupanti: se “togliamo” dalla ricchezza prodotta dal Paese la quota addebitabile al sommerso economico e alle attività illegali che non producono nessun gettito per l’erario, il Pil diminuisce (quindi si riduce il denominatore), facendo aumentare il risultato che emerge dal rapporto tra prodotto interno lordo e entrate fiscali. Ecco perché la pressione fiscale “reale” che grava su lavoratori dipendenti, sugli autonomi, sui pensionati e sulle in regola con il fisco è superiore a quella ufficiale di 6,1 punti. Come se non bastasse, poi, per il 2019, la pressione fiscale potrebbe tornare ad aumentare, sia perché la crescita del Pil, secondo le previsioni, è data in frenata, sia a seguito di un possibile aumento del prelievo fiscale, spiega la Cgia. Ipotesi, quest’ultima, smentita dal governo gialloverde. Tuttavia, stimano gli artigiani veneti, nel caso non si dovessero trovare 12,4 miliardi di euro, dal 1 gennaio 2019 l’aliquota Iva, attualmente al 10 per cento, salirebbe all’11,5 per cento; mentre quella attuale del 22 per cento schizzerebbe addirittura al 24,2 per cento.
Secondo i diktat di Bruxelles, è molto probabile che per il 2019 dovremo metter mano ai nostri conti pubblici per quasi dieci miliardi, dopodiché, bisognerà trovare circa due miliardi di euro per il rinnovo del contratto di lavoro degli statali, ulteriori 500 milioni di spese cosiddette indifferibili e altri 140 milioni per evitare l’aumento delle accise sui carburanti a partire dal 1 gennaio 2019.
Insomma, viste le difficoltà incontrate con il decreto Dignità – conclude l’Ufficio studi della Cgia – non è da escludere che almeno una parte di questi 25 miliardi di euro possa essere finanziata attraverso un incremento del prelievo fiscale. Insomma, al di là dei proclami, il governo Lega-M5S – conti alla mano – potrebbe ritrovarsi costretto a fare tutto il contrario di quanto promesso in campagna elettorale.
Adolfo Spezzaferro

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