Il microfono che non funziona riassume plasticamente la giornata di Berlusconi. Volto teso, duro, sguardo teatralmente severo. E’ il primo segnale di un copione scritto male. Il discorso lapidario fa parte della sceneggiatura. Fa tutt’uno con lo sguardo truce. Riesce solo il colpo finale ed è un colpo a sorpresa: si alla fiducia al governo Letta. Ma, oltre lo stupore, gli applausi li guadagna soltanto grazie all’effetto scenico. La trama è scadente e non c’è altro da applaudire.
Si sorride e ci si compiace come di un film dal finale scritto bene: c’è la suspence, la tensione e la pressoché inaspettata conclusione. E c’è il presidente del Consiglio che, certo dei numeri, assiste sereno e compiaciuto allo show.
Letta ha vinto. Umanamente e politicamente. Ha vinto con il suo partito, che sembra finalmente aver trovato una figura forte ed è per questo pronto a sostituirla con le primarie. Ha vinto con il centro, con Monti che vanta la paternità delle larghe intese ma trasuda invidia politica e ormai può persino permettersi di “sfottere” il Cavaliere. Ha vinto, soprattutto, con Berlusconi, cui ha spaccato il partito guadagnandosi la poltrona grazie ai suoi uomini, che prolungano e rafforzano la sua legislatura.
Andremo avanti con il secondo governo mai eletto forse anche fino al 2015. Lo chiedono i mercati. E Berlusconi insegue i suoi, è complice. Ancora una volta.
Berlusconi delude. C’è chi ha visto in tutto ciò una strategia, un ricatto, una tattica per smascherare i suoi. Ma che fosse tutto un bluff oppure no, dal punto di vista politico conta poco. Conta, invece, il risultato. I “falchi” lasciati con il cerino in mano, gli elettori berlusconiani “oltranzisti” delusi da un leader che non sa andare fino in fondo e da tempo non è più il timoniere decisionista che (forse) era un tempo. Le “colombe” che – costituiscano o meno gruppi autonomi – hanno segnato un allontanamento dal capo e dalla sua linea e molto probabilmente non aderiranno alla nuova “Forza Italia”. Gli elettori moderati sfiduciati da un Berlusconi ormai vissuto come inaffidabile ed ingombrante.
Il disagio che cova dai tempi di Fli, ancor più che dai tempi del distacco di Casini, esplode con forza all’interno di un Pdl che rivela le basi fragili di quella che è stata finora la sua forza elettorale: un partito moderato ed a tratti conservatore, che si diverte a travestirsi da “estremista”. Ma è una maschera ed il si alla fiducia ne è l’ennesima conferma.
Berlusconi contro l’Europa, che poi si inchina e cede il passo. Berlusconi contro Monti, a cui poi chiede di guidare i “moderati”. Berlusconi contro i “comunisti”, che poi implora per fare un governo insieme. Berlusconi che governa ma si finge all’opposizione. Berlusconi che annuncia un videomessaggio incendiario e poi lancia una copia sfuocata di quello del ’94. Berlusconi (e Brunetta) che garantisce: se l’Iva aumenta, governo a casa. E poi l’Iva aumenta lo stesso. Berlusconi che abbaia ma non morde. È uno schema riproposto talmente tante volte che ormai in pochi ci credono ancora.
Annuncia le dimissioni dei parlamentari, che poi – com’era ovvio – non hanno seguito per manifesta insensatezza dell’iniziativa. Impone ai “suoi” ministri le dimissioni e questi gli danno il contentino, già d’accordo con Letta che temporeggia fino al giorno della fiducia e, poco prima, respinge le dimissioni. Ma ciò che rivela più di ogni altra cosa la sconfitta del Cavaliere è forse la parvenza di difesa che, incassata la fiducia e conservata la poltrona, tentano i “traditori”. Come il ministro Lorenzin, che a “Porta a Porta”, dopo il colpo alle spalle, asserisce senza convinzione: «Berlusconi è immenso». Come Formigoni che aggiunge: «continueremo a difendere Berlusconi anche da se stesso». Considerato ormai quasi incapace di intendere e volere («dà retta alle persone sbagliate»), è trattato come il nonno che tutti rispettano ma non ascolta più nessuno.
Se questa non è una sconfitta.
Inutile, dunque, cercare improbabili dietrologie, pur se esistenti. Berlusconi ha perso i suoi e avrebbe avuto una chance di considerazione politica se avesse, per una volta, dato seguito alle sue “grida”: sfiducia, dura opposizione, creazione magari di un partito di “destra”, “populista” e popolare, con alleanze in questo spettro politico, per sfidare il blocco di centro, il blocco dei moderati che lui insegue con tutta evidenza invano. Anche perché non è certo costituito dai moderati il suo blocco elettorale più fedele. Avrebbe potuto uscire sconfitto ma forte politicamente, alternativo sul serio. Considerato che in Europa c’è una grossa fetta di elettorato che chiede politiche anti-migratorie, anti-europee, anti-casta, anti-burocrazie, e che in Italia non è rappresentato da nessuno dei grandi partiti, Berlusconi avrebbe potuto sganciarsi da un bacino elettorale su cui ormai non può, in ogni caso, fare più riferimento. Invece si è accodato ad Alfano, che pure aveva fatto scendere nei sondaggi il partito, proprio perché era evidente da tempo il suo “moderatismo”.
Molto probabilmente non lo era, ma se di strategia si fosse trattato, non è stata sicuramente una strategia vincente. Ed oltre il mito di chi “non lo ammazzano mai”, resta soltanto un notevole ed ulteriore ridimensionamento del suo peso politico e della sua credibilità. Perché difficilmente un silenzioso “lealismo” in questi due anni porterà voti al Cavaliere, se ancora avesse intenzione di ricandidarsi. Era la sua ultima possibilità. E probabilmente l’ha sprecata.
Il nuovo centrodestra di Alfano è un centrodestra “normalizzato”, come in molti amano ormai ripetere. “Epurato” dagli “estremismi”, dai “fascisti” – lo spauracchio stranamente sollevato dal ministro Quagliariello & Co. in questi giorni – il centrodestra che si prospetta è una creatura centrista, che ha salvato tra le sue anime soltanto quella democristiana, camaleontica e che contribuirà ai governi anti-nazionali voluti dal Capo dello Stato.
Forse non hanno tradito Berlusconi, sicuramente hanno tradito gli italiani. E scusate se è poco.
Emmanuel Raffaele