Roma, 1 ott – L’Italia fu, storicamente, uno dei primi paesi al mondo ad utilizzare l’elettricità come forza motrice per la trazione ferroviaria. Correvano i primi del novecento e l’energia elettrica era l’unica alternativa valida al carbone, che doveva essere acquistato a caro prezzo all’estero. Da allora, gli impianti di trasmissione e dispacciamento sono sempre rimasti nelle disponibilità delle Ferrovie.
Si tratta di una rete dalle immense dimensioni: 9200 i km in alta tensione, più di 5mila quelli in media. Un’attività che, nei tempi in cui la politica industriale è soppiantata dalle valutazioni di mercato, non è più considerata strategica.
Le Ferrovie dello Stato sono, infatti, in procinto di quotarsi in Borsa. Una privatizzazione a metà, dato che l’immissione di azioni sul mercato di piazza Affari riguarderebbe “solo” il 40% del capitale. Obiettivo raschiare il fondo del barile alla ricerca di qualche euro per puntellare i bilanci pubblici. Almeno 5-6 miliardi che potrebbero affluire al Tesoro, ma dopo il recente flop di Fincantieri è più che lecito nutrire qualche dubbio sull’affidabilità delle previsioni del ministero.
Fatto sta che -lo chiede il mercato- il titolo deve essere appetibile. Non necessariamente solido dal punto di vista aziendale, ma capace di garantire ritorni di reddito. Ecco allora che la rete elettrica diventa un “di più”, un qualcosa di non necessario che il mercato non premia. Poco importa che si tratti di un asset fondamentale e capace di garantire sia risparmi, per l’utilizzo di un bene di proprietà; sia ricavi, dato che le linee non sono sfruttate solo dalle FS. Invece no: i 14mila km di linee devono essere ceduti. Valutazione? Un miliardo in pronta cassa, liquidità che suona come musica per le orecchie degli investitori.
Ad acquistare l’intera rete sarebbe Terna, il gestore nazionale che opera sotto l’ombrello di Cassa Depositi tramite Cdp Reti, il cui 35% è di recente passato in mani cinesi. L’impegno finanziario richiesto impedirebbe alla società di portare avanti progetti già pianificati, come la partecipazione all’asta per la rete elettrica della Grecia.
Una perdita secca per le Ferrovie, un’esclusione di opportunità di investimento per Terna. La privatizzazione à la carte per il mercato segna già due potenziali sconfitte.
Filippo Burla