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M5S-Pd, accordo (quasi) impossibile. Renzi preferisce un governo tecnico

by Adolfo Spezzaferro
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Roma, 27 apr – Adesso che il presidente della Camera Roberto Fico ha concluso il suo mandato esplorativo per verificare l’ipotesi di un governo M5S-Pd e che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso altro tempo per trovare la quadra tra 5 Stelle e dem (che decideranno alla direzione nazionale del 3 maggio), la parola sta ai renziani. Sono i fedelissimi dell’ex premier e lo stesso Matteo Renzi a fare la differenza: senza il loro appoggio niente maggioranza di governo in Parlamento.
“Vogliamo realizzare un contratto di governo, sul modello tedesco. Aspettiamo la direzione del Pd. Se verranno al tavolo con noi cercheremo di scrivere nel dettaglio tutti i termini delle misure da realizzare”, dichiara intanto il capogruppo M5S al Senato, Danilo Toninelli, ribadendo però la conditio sine qua non del “contratto” con il Pd, ossia Luigi Di Maio presidente del Consiglio: “Non sarebbe accettato dai nostri elettori un governo del M5S che non abbia Di Maio premier“.
Il ministro uscente della Giustizia, Andrea Orlando, risponde all’invito senza troppo entusiasmo: “Mi auguro che il tavolo ci sia: sottrarsi alla richiesta di Mattarella sarebbe da irresponsabili. Poi sconta l’accordo sui temi: non è detto che debba esserci. Noi lo accetteremo solo se si fanno gli interessi del Paese”. Orlando appartiene alla minoranza dem “governista” e coglie l’occasione per lanciare una proposta di comodo: “Cerchiamo un accordo programmatico o andiamo diritti alle elezioni? Perché lo scenario è questo, non credo che il presidente Mattarella mandi alle Camere un governo senza maggioranza. Anzi: potremmo coinvolgere la base con un referendum aperto non solo agli iscritti ma a tutti gli elettori democratici“. Insomma, visto che numericamente in direzione i renziani hanno la meglio, Orlando suggerisce di aprire a tutti, nella speranza che vinca il sì all’accordo con i 5 Stelle.
In effetti, a quanto pare, è praticamente impossibile che i renziani appoggino un esecutivo “a mezzi” con il M5S ma – attenzione – è molto probabile che aderirebbero a un governo del Presidente, guidato da una figura “terza”.
Sul fronte del centrodestra, intanto, Matteo Salvini in campagna elettorale in Friuli torna a parlare di voto anticipato: “O si può mantenere il patto preso con gli italiani o tanto vale chiedere la fiducia e andare a votare senza mediazioni“.
“Io, rispetto alle elezioni del mese scorso, non cambio di un millimetro: coerenza, lealtà, fiducia in voi. Non si tradisce, non si cambia, si rispettano gli impegni, si vogliono mantenere le promesse senza passare da destra a sinistra, da sinistra a destra, a giorni alterni”, chiarisce il leader della Lega. “O si può mantenere fede agli impegni e al programma presi con voi, o si vota. Non esistono governi che fanno tornare al potere i perdenti, i Renzi, le Boschi, le Serracchiani, i Gentiloni, gli Alfano”, conclude.
Per quanto riguarda il “forno” chiuso dai 5 Stelle, secondo alcuni rumors, il leader della Lega sarebbe pronto a lasciare Silvio Berlusconi pur di riaprire la trattativa con Di Maio, il quale proprio ieri ha lanciato segnali in questo senso, “difendendo” Salvini dalle velate minacce delle tv di proprietà del leader di Forza Italia. Ma è pur vero che il capo politico della Lega ha liquidato il leader pentastellato con un “Grazie, ma so difendermi da solo”. Quindi allo stato attuale resta improbabile una nuova trattativa Lega-5 Stelle, che in ogni caso dovrebbe essere “istituzionalizzata” da Mattarella.
Insomma, con buona pace di Salvini, se all’indomani della direzione dem non ci sarà l’accordo (ossia vinceranno i renziani) il capo dello Stato molto probabilmente rifilerà agli italiani un governo tecnico à la Monti, per la gran gioia dell’Ue, dei mercati e degli alleati militari.
A un governo istituzionale, tecnico, che affronti le urgenze – a partire dal Def – Renzi non può dire di no, sarebbe mancanza di senso di responsabilità. E questo Mattarella lo sa bene.
Il prezzo da pagare sarebbe tradire la volontà elettorale, non dare Palazzo Chigi né ai grillini né ai leghisti, non mandare al governo la coalizione più votata (per di più forte del successo annunciato alle regionali in Friuli, dove probabilmente Salvini supererà di gran lunga Berlusconi). Ma per la stabilità e la governabilità il capo dello Stato è disposto a sacrificare certi meccanismi democratici, tipo il mandato elettorale.
Adolfo Spezzaferro

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