Roma, 6 lug – Evidentemente non è bastata l’inchiesta giudiziaria di due anni fa, nata dal nulla, per il saluto romano in occasione della commemorazione di Carlo Falvella a Salerno, che ha dato il la all’effetto domino di tutte le altre procure d’Italia che, a loro volta, hanno giocato al rialzo e dalle cui accuse tutti i militanti sono stati assolti. Non è stato sufficiente la discesa in campo dell’anno scorso di tutti i collettivi e dell’Unione degli studenti salernitani con tanto di solito striscione “uccidere un fascista non è reato” ad aprire il corteo sotto i flash muti e immobili della Digos. Foto ripresa proprio da questo giornale e che i pasionari si affrettarono a rimuovere dalle loro pagine social. “Perché si trattò di un errore”, spiegò subito un loro responsabile, come solito loro. L’errore era l’aver postato lo scatto, non l’aver brandito quello striscione con le immancabili donne in prima fila.
Lo scempio del presidio antifascista il 7 luglio
Quest’anno, oltre all’inevitabile provocatore di Fanpage che l’anno scorso portò a casa lo scoop della maglietta militare addosso ai militanti, addirittura un non meglio specificato presidio antifascista è stato autorizzato proprio per il giorno in cui si ricorda lo studente diciannovenne e vicepresidente del Fuan di Salerno. Presidio autorizzato in piazza 25 Aprile, ad appena 150 metri dal cippo di Via Velia, laddove Carlo fu ammazzato. Tre minuti a piedi al massimo. Peccato, perché poco più in là della piazza scelta, in direzione contraria, c’è il monumento a Giovanni Amendola, storico antifascista campano. Si sa, però, che coerenza e conoscenza non sono proprio il forte di questa gente che non deve dare nemmeno una parvenza di logicità alle loro azioni: loro ragionano per associazioni di idee e allora non stupisce che il comunicato per l’evento non è altro che una “chiamata alle armi” per studenti – ops, student3 – lavorator3 e disoccupat3 affinché il 7 luglio si ritrovino in piazza per migliorare le proprie condizioni di vita. Contro lo sfruttamento nei campi, nei cantieri e nella logistica: l’immigrazione folle e indiscriminata non deve proprio significare nulla per questa gente, soprattutto per i lavorator3 e i disoccupat3. Contro la precarietà addirittura! Non devono aver capito granché nemmeno dal risultato dell’ultimo referendum né il Camera-Fabietti su cui si sono formati deve riportare nulla dei concetti come l’articolo 18, il Jobs act, l’alternanza scuola-lavoro e il nome dei padri di cotanti genialate.
Una miscellanea di temi più svariati in nome dell’antifascismo per l’accozzaglia di quanta più gente possibile, la più disparata, la più disperata che appoggia una contromanifestazione ad un omicidio cagionato da professionisti dell’odio gratuito come loro che è qualcosa di profondamente vile. Una contromanifestazione ad una loro azione parla da sola. Per loro.
L’omicidio di Carlo Falvella
Carlo Falvella, infatti, morì a seguito di due coltellate che gli recisero l’aorta vibrate dall’anarco-comunista, poi evolutosi in identitario – voce del verbo “quando persino il Soccorso rosso militante lo aveva scaricato” – Giovanni Marini, il quale rigirò il coltello di 180 gradi nel cuore del giovane studente di Filosofia. Anzi, i coltelli erano due e almeno uno fu recuperato da Marini a casa sua, anche se poi la giustizia degli uomini parlerà di omicidio preterintenzionale. Infatti, se insieme ad altri due compagni – Francesco Mastrogiovanni e Gennaro Scariati – aspetti i due camerati passare per tendere loro un’imboscata mortale, non si può che parlare di preterintenzione. Eppure, se non ci fosse gente del calibro di Carlo, gentaglia come quella che il 7 luglio ancora viene a vomitare odio non avrebbe ragione dei esistere. Ancora e nemmeno cinquantatré anni dopo. Il corteo in onore di Carlo a Salerno si svolge da decenni e negli anni è diventato garanzia di compostezza, di ordine, di rispetto. In modo sacro e marziale si ricorda un ragazzo assassinato tra le lodi e l’ammirazione di chi ci vede inquadrati. Si ricorda il coraggioso gesto di un eroe che nel fiore della gioventù e con la grave menomazione alla vista che lo affliggeva ha sacrificato la propria vita, ciò che aveva di più caro, in nome dell’amicizia e del cameratismo. Oggi chi si dice a priori contrario al riarmo per paura che un’alitata di vento provocata dal passaggio di un’ogiva possa scompigliare loro i rasta, vorrebbe (s)parlare di Carlo. Vorrebbe impedirne il ricordo.
Un antifascismo strumentale e strumentalizzato
Piazza 25 Aprile è uno spiazzo sul mare, via Velia né è una traversa. Erano vicini e sul lungomare quel 7 luglio del ’72 anche il Bar Nettuno e il Bar Nazionale, luogo di ritrovo rispettivamente dei rossi e dei neri della città di Salerno, divisi solo da una siepe che era un limite invalicabile. Quel che accadde quel 7 luglio del ’72 è storia. Tanti, ancora oggi, sono fermi su quel lungomare. E sanno bene che a furia di soffiare sul fuoco, a forza di aizzare la scintilla accade che la fiamma prenda vigore e l’incendio divampi. Se si continua a predicare soltanto odio e violenza, accade che il Marini sbandato, squilibrato e fallito di turno lo trovi e prima o poi passi il segno. Rendiamoci conto che è avvelenando un clima sostanzialmente calmo e sereno fino al momento che venne sconvolto da un antifascismo strumentale, strumentalizzato e che diventerà assassino, foriero di tensione e anche di morte, che nacque il terrorismo degli anni Settanta; è esattamente così che nacquero gli Anni di piombo, di cui Carlo, con Ugo Venturini, si contende il triste primato di prima vittima di quegli anni di sangue.
Tony Fabrizio