Roma, 9 mag – Governo e opposizioni oggi a confronto, come preannunciato ieri, sul delicato tema delle riforme istituzionali. Nella fattispecie, il centro del dibattito è sempre quello sul presidenzialismo, un cavallo di battaglia della destra da decenni, non fosse che la maggioranza si stia dimostrando interessata a stemperarlo in vari modi, su tutti quello del “premierato”.
Governo e opposizioni al tavolo delle riforme
Ufficialmente tutti gli esponenti del governo hanno espresso la necessità di condividere con le opposizioni il processo verso una riforma istituzionale. Lo ha fatto il premier Giorgia Meloni, lo ha sottolineato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani. I primi due sono stati un po’ più “duri” nel ribadire l’intenzione di “andare anche da soli” se ci saranno muri da sinistra e, quindi, passare la palla ancora una volta al referendum (dando per scontata l’impossibilità di votare un qualsiasi cambiamento della Costituzione con una maggioranza di due terzi del Parlamento). Il terzo, invece, insiste di più sulla “riforma condisiva”, dichiarando: “Per quanto riguarda le riforme vogliamo ascoltare le proposte delle opposizioni: si devono scrivere insieme. Siamo pronti a lavorare in parlamento per garantire più stabilità in Italia perché questo significa essere più credibili”. Peccato che la riforma condivisa sia una pura boutade. A meno di miracoli che però, tanto per cambiare, non si vedono all’orizzonte.
Perché la “riforma condivisa” è pura utopia
Ci provano tutti, dalla maggioranza, a rilanciare il tema della “riforma condivisa”, il che teoricamente avrebbe un senso ma che nella storia dei – disperati, in certi casi – tentativi di cambiare l’assurdo “puzzle costituzionale” che l’Italia si porta dietro dal 1948 non ha mai avuto un seguito. Dai tempi della bicamerale anni Novanta, del cui fallimento venne accusato Silvio Berluconi, non si è mai giunti a un punto reale della quesione. Soprattutto perché, Cavaliere a parte, gli stop arrivano sempre da sinistra. Perfino quando ci si provo “da sinistra”, come avvenne nel caso di Matteo Renzi nel 2016, le opposizioni reali e più ostili vennero addirittura dalle ali più dissidenti del Partito democratico (anche se sicuramente seguite da un centrodestra altrettanto agguerrito). Ma in generale, non c’è mai condivisione sulla necessità di ridimensionare il parlamentarismo e accentuare il peso dell’esecutivo. Non è avvenuto nel 2006, quando il centrodestra propose una riforma comunque la si veda temperata rispetto al vecchio “sogno presidenziale” e non è mai avvenuto successivamente. In un modo o nell’altro, si passa sempre ai cosidetti “colpi di maggioranza”, poi puntualmente bocciati alle urne popolari.
Stelio Fergola
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