
L’ex sindaco di Firenze si dichiara «primo sponsor» dell’Albania, sottolineando il suo impegno per un’accelerazione delle trattative. «La politica estera italiana ha due capisaldi: il Mediterraneo e i Balcani, ieri luogo di guerra e oggi luogo di pace e speranza», ha affermato Renzi. «L’Albania è già in Europa, anche se non è ancora tra i 28. Bisogna allargare le porte della grande casa europea perché è giusto, utile, e serve per l’Europa ancora prima che per l’Albania o per i Paesi candidati», ha chiosato poi il premier.
Da parte sua, il primo ministro albanese Edi Rama ha preso la palla al balzo, invitando più o meno esplicitamente a delocalizzare le attività produttive a sud dell’Adriatico: «Non vorrei mettere in difficoltà Matteo dicendo agli imprenditori italiani di venire in Albania perché non ci sono i sindacati come in Italia e non si paga più del 15% di imposte».
Una situazione non nuova, dopo le problematiche di natura industriale che si erano sollevate nel 2007 all’atto dell’ingresso di Romania e Bulgaria. L’abbattimento delle barriere doganali, commerciali e normative è d’altronde un incentivo, sia pur indiretto, a spostare le produzioni nella ricerca delle condizioni di lavoro a più buon mercato.
Ed è forse questo che intende Renzi quando, con un volo pindarico non proprio adatto al piccolo cabotaggio della questione in sé, sogna che Italia e Albania siano in grado di «cambiare, perché siano sempre più capaci di costruire l’ideale europeo».
Filippo Burla