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Evola, il non-conservatore: aspetti operativi della sua opera

by Sergio Filacchioni
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Evola

Roma, 11 giu – C’è un vizio profondo, e purtroppo diffuso, in una certa destra radicale che si dichiara “evoliana”: quello di trasformare Julius Evola in una sorta di reliquia da venerare nei momenti di crisi, riducendolo a filosofo della consolazione per spiriti sconfitti. L’Evola di Cavalcare la tigre, però, è tutt’altro che un lamento. È un martello che non fa sconti a nessuno.

Evola il non-conservatore

In realtà, Evola si rivolge a chi è in grado di restare “in piedi tra le rovine” con un’indicazione precisa: non si tratta di resistere per inerzia, ma di testimoniare attraverso l’azione una direzione superiore. Nonostante la crisi del mondo moderno, l’autore non propone rifugi né nostalgie. Piuttosto, suggerisce un atteggiamento attivo, lucido, non compromesso. “Meglio contribuire alla caduta di ciò che è già vacillante che tentare di sorreggerlo artificialmente”, dice in un passaggio molto chiarificatore: non si salva ciò che è già storicamente superato, non si fa reazione culturale su basi fragili. Il mondo borghese, con i suoi valori e le sue strutture, non ha nulla a che fare con la Tradizione. Difenderlo in chiave conservatrice significa solo rimandare l’inevitabile. Questo tema è stato ripreso recentemente su queste colonne anche da Michele Iozzino, che ha osservato come Evola, ben prima della retorica multipolare odierna, avesse escluso qualsiasi illusione di trovare sostegno altrove: “Non c’è nessuna civiltà che possa fare da appoggio. Né quella occidentale, ovviamente, ma neanche quella orientale”. Anche su questo punto Cavalcare la tigre è esplicito: non si salva nulla dell’Occidente, ma nemmeno l’Oriente può offrire risposte praticabili. L’idea di rifugiarsi in un altrove culturale, religioso o geopolitico è per Evola una falsa soluzione. La crisi attraversa tutto il ciclo storico in corso e non risparmia nessuna civiltà. La conseguenza è netta: “Dobbiamo affrontare i problemi da soli”.

Criteri operativi dell’opera evoliana

Non c’è, in Evola, la prospettiva di un “ritorno” a un ordine tradizionale. Non perché quel modello non sia valido, ma perché non ci sono più le condizioni storiche per riprodurlo. In un’epoca di dissoluzione, il compito dell’uomo differenziato non è ricostruire ciò che è crollato, ma agire secondo un orientamento interno. Questo è l’aspetto operativo dell’opera evoliana che spesso viene trascurato. Cavalcare la tigre, quindi, non è sopravvivere. È agire secondo uno stile, senza attendere risultati immediati. È sapere che il presente non offre appoggi e che ogni adesione esterna — politica, ideologica, religiosa — comporta un rischio di compromissione. Evola lo scrive in modo netto: “Il problema sarà mantenere la propria direzione essenziale senza appoggiarsi ad alcuna forma data o trasmessa, nemmeno quelle autenticamente tradizionali, seppur appartenenti alla storia passata”. Chi oggi si richiama a Evola dovrebbe evitare il rischio di trasformarlo in un autore ornamentale. Il suo pensiero è esigente e chiede coerenza. Alcuni criteri operativi possono essere così riassunti. Non fare opposizione per principio: non è sufficiente essere “contro il sistema” se non si è capaci di produrre un’alternativa in termini di forma di vita. Assumere uno stile coerente: Evola ci suggerisce che ogni ambito dell’esistenza può diventare occasione di testimonianza – nel linguaggio, nei rapporti personali, nelle scelte professionali. Rifiutare l’orizzonte conservatore: difendere ciò che è già morto significa legarsi a un fallimento. Coltivare un orientamento verticale: l’azione non deve dipendere dalle condizioni esterne, ma da una coerenza interiore che non cerca riconoscimenti.

Agire come se…

La Tradizione, oggi, non è tanto un progetto culturale, ma un criterio d’esistenza. Non è tanto una narrazione identitaria – che pure è necessaria – ma primariamente una disciplina personale. Insomma, non è un’eredità da proteggere, ma una forma da incarnare. Julius Evola non offre conforto su questo. Come scrive lui stesso, in assenza di forme stabili e legittime, resta solo una possibilità: agire come se… Agire come se l’ordine esistesse ancora. Agire come se fosse ancora possibile essere liberi, ma con la consapevolezza che la libertà vera non viene concessa: si pratica. Anche senza testimoni.

Sergio Filacchioni

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