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Evola, Occidente e multipolarismo: “Non v’è altra civiltà che ci possa servire da appoggio”

by Michele Iozzino
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Roma, 1 ott – Sulla linea di faglia dei conflitti attuali, a partire da quello in Ucraina, vi è la tendenza a leggere gli schieramenti in campo in termini assoluti, come Occidente e anti-Occidente. Il tutto, molto spesso, con l’intenzione di richiamarsi a una visione tradizionalista. Da una parte quindi ci sarebbe l’Occidente, punta di lancia di ogni decadenza e di ogni spinta nichilista, dall’altra una specie di resistenza spirituale, magmatica e ancora sfaccettata, ma pronta a ribaltare i rapporti di forza globali. Il sud del mondo – stranamente, però, il suo epicentro sarebbe Mosca o al più Pechino – contro la civilizzazione occidentale. Anche accettando i criteri tradizionalisti, una simile visione delle cose ha senso?

La lezione di Evola

Prendiamo un autore come Evola, che recentemente qualcuno ha cercato di arruolare alla causa “multipolare”. In un testo fondamentale come Cavalcare la tigre, dove la stessa decadenza occidentale è messa in relazione al Kali Yuga e alla dottrina dei cicli cosmici, il pensatore romano mette in guardia da qualsiasi esotismo. La questione potrebbe essere riassunta in questi termini: se l’Occidente ha vissuto per primo la crisi del mondo moderno e la conseguente caduta verso in basso, motivo per cui è più avanti in questo processo discendente, con ogni probabilità sarà anche il primo ad uscirne, mentre le altre civiltà lo seguono sulla stessa cammino e scivolano sempre di più nel piano inclinato del nulla.

Spiega Evola, “Lo stesso Oriente sta ormai seguendoci sulla via da noi presa, esso sta soggiacendo sempre di più alle idee e alle influenza che ci hanno condotto al punto in cui ci troviamo, «modernizzandosi» e assumendo le nostre stesse forme di vita «laica» e materializzata, sì che quello che quel che esso conserva di tradizionale e di proprio perde sempre più terreno e si trova respinto in una zona marginale”. Allo stesso modo, i processi post-coloniali – Evola scrive nel 1961 – non sono davvero una liberazione dal gioco occidentale e dai suoi non-valori, al contrario ne sono la naturale prosecuzione: “La liquidazione del «colonialismo», l’indipendenza materiale che popoli orientali stanno assicurandosi di fronte agli Europei, si accompagna strettamente con una soggiacenza sempre più palese alle idee, ai costumi e alla mentalità «progredita» e «progressista» occidentale”.

Non bisogna nemmeno farsi illusioni su un eventuale “patrimonio residuale”, poiché se questo sussiste lo fa “non perché si tratti di aree veramente sottratte al processo discendente, ma solo perché questo processo in esse si trova ancora in una fase iniziale e meno spinta”. E continua: “Anche per quelle civiltà sarà dunque questione di tempo il raggiungerci, il trovarsi nello stesso punto in cui noi ci troviamo, tanto da conoscere i nostri stessi problemi, gli stessi fenomeni dissolutivi nel segno del «progresso» e della modernità”. Il tutto con la possibilità concreta che questa discesa avvenga in un modo ancora più parossistico: “I ritmi, là, potranno essere assai più veloci: ce lo dice già, ad esempio, la Cina, la quale in un paio di decenni ha percorso tutto quel cammino fra una civiltà imperiale tradizionale e il regime comunista materialista e ateo, che gli Europei hanno impiegato secoli a percorrere”.

Una direzione per l’Occidente: in avanti

Insomma, conclude Evola, citando Nietzsche, “«Il deserto cresce», non v’è altra civiltà che ci possa servire da appoggio, dobbiamo affrontare da soli i nostri problemi”. Una constatazione che è tutt’altro che pessimistica: “Il processo discendete dell’età oscura nelle sue fasi terminali si è attuato per primo da noi; per questo, non è escluso che noi si sia anche i primi a superare il punto zero”. Se è vero che quest’ultima sia, per Evola, soltanto un’ipotesi, ciò non toglie la necessità di fare affidamento a se stessi, senza esotismi o illusioni varie. Inoltre, tutto questo pone una direzione, irrimediabilmente in avanti. D’altronde, decenni prima nei Saggi sull’idealismo magico aveva constato: “L’assoluto non sta dietro, ma avanti (questa è l’irriducibile conquista che l’Occidente, col suo attivismo, ha realizzato sull’Oriente)”. O, per dirla con Marinetti, “Superare, superarsi, o non essere”.

Michele Iozzino

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