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“Antifa”: il manuale che svela la mafia antifascista (scritto da loro)

by La Redazione
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Antifa

«L’antifascismo non è un esercizio di democrazia liberale. […] L’obiettivo è rendere impossibile ai fascisti di operare nella società»

(Mark Bray, Antifa, p. 36)

Roma, 23 mag – In un’epoca in cui ogni forma di dissenso viene sistematicamente bollata come “fascismo”, la lettura di Antifa: The Anti-Fascist Handbook di Mark Bray si rivela un esercizio di disvelamento. Non perché il libro cerchi di celare la propria natura – tutt’altro. Bray parla chiaro. È un “partigiano dichiarato” della causa antifascista. Ma proprio per questo, inconsapevolmente, ci consegna un documento straordinario: una confessione ideologica involontaria, un’autopsia diretta dell’antifascismo contemporaneo.

Dalla teoria alla piazza: il libro che ha armato gli Antifa

«Molte delle strategie impiegate dagli antifascisti sin dagli anni Venti — azione diretta, scontro fisico, pubblica umiliazione, raccolta di informazioni — restano centrali ancora oggi»

(Mark Bray, Antifa, p. 161)

Chi vuole capire cosa sia oggi l’antifascismo – e perché sempre più persone lo considerino una struttura dogmatica, intollerante e, sì, anche mafiosa – dovrebbe partire proprio da questo testo. Non da un pamphlet polemico, né da un tweet di Saviano, ma da una pubblicazione osannata dalla sinistra internazionale e utilizzata come riferimento operativo nella galassia militante. A chi liquida Antifa come semplice teoria accademica, basterebbe ricordare che il testo è stato tradotto, distribuito, citato e utilizzato operativamente da collettivi attivi in Germania, Grecia, Stati Uniti, Spagna e Italia. È diventato un punto di riferimento non solo per comprendere la genealogia dell’antifascismo, ma per organizzarne la prassi militante. Le “azioni dirette”, i “blocchi preventivi”, le “reti di mutuo soccorso” descritte nel libro si ritrovano identiche nei comunicati dei gruppi antifa attivi oggi. Non è dunque un’astrazione accademica, ma una vera e propria guida tattica, impiegata sul campo per giustificare boicottaggi, intimidazioni e violenze, tutte ammantate dalla retorica dell’emergenza ideologica permanente. È il paradosso finale: un manuale che si presenta come difesa della libertà, e viene invece utilizzato per legittimare imposizione, censura e repressione del dissenso.

La giustificazione della violenza

«Dopo Auschwitz e Treblinka, “Mai più” ha significato, tra le altre cose, nessuna piattaforma per i fascisti. Neanche un sussurro. Neanche una volta»

(Mark Bray, Antifa, p. 35)

Bray dedica interi capitoli alla legittimazione dell’uso della forza. Non come risposta a un’aggressione fisica – il che sarebbe comprensibile e legittimo – ma come strumento di “prevenzione ideologica”. L’antifascismo, nella sua visione, è un’azione offensiva: sabotaggi, infiltrazioni, distruzione di eventi, boicottaggi, doxxing (la pubblicazione dei dati personali degli avversari). L’autore ne parla con ammirazione, ma un lettore imparziale può solo restare allibito. Queste non sono “azioni politiche”, bensì tecniche di pressione sistemica, portate avanti da una rete informale che gode di complicità culturali e istituzionali. Esattamente ciò che si definisce una “mentalità mafiosa”: non il crimine organizzato in sé, ma l’abitudine ad agire al di sopra della legge, contando sull’impunità e la copertura delle formazioni parlamentari.

L’egemonia culturale come arma

«Uno dei punti più importanti su cui gli antifascisti insistono sin dagli anni Venti è che il fascismo va fermato prima che diventi abbastanza forte da rappresentare una minaccia seria»

(Mark Bray, Antifa, p. 64)

Anche se Bray non lo dice esplicitamente, è evidente che l’antifascismo contemporaneo opera su tre fronti: culturale, sociale e politico. L’obiettivo è creare una zona ideologica blindata, dove ogni alternativa al paradigma progressista-globalista viene immediatamente classificata come “male assoluto”. Che si tratti di patriottismo, sovranismo, riarmo, europeismo, critica all’immigrazione o difesa della famiglia tradizionale, l’etichetta è sempre la stessa: fascismo. Ultimamente “euronazismo“, in linea con la propaganda russa in Occidente. Bray giustifica questo approccio con una logica messianica: il fascismo è eterno, sempre in agguato, e chi non lo combatte ne è complice. Ma in pratica, ciò si traduce in una repressione preventiva del pensiero. Non è difficile trovare in queste parole Umberto Eco e il suo Ur-Fascismo, da cui l’antifascismo ha ereditato l’ossessione per la minaccia perenne, la “fasciofobia”.

Il paradosso dell’antifascismo istituzionale

«Sebbene la maggior parte degli antifascisti rigetti la legittimità dello Stato, critica anche il modo in cui le istituzioni statali tendono a proteggere il discorso fascista in nome delle libertà civili»

(Mark Bray, Antifa, p. 90)

La contraddizione più eclatante emerge nella pretesa che l’antifascismo sia “contro il potere”, mentre è esso stesso il potere. Non nel senso governativo, ma in quanto cultura dominante, filtro obbligatorio nell’educazione, nei media, nei social network. Bray stesso riconosce che molti antifa rifiutano lo Stato e la democrazia liberale, ma si guarda bene dal denunciare il fatto che queste realtà godano spesso di un’immunità culturale pressoché totale. L’esempio italiano è emblematico: centri sociali che assaltano conferenze e banchetti politici, collettivi che impediscono lezioni universitarie, manifestazioni che bloccano incontri culturali. Tutto viene tollerato, spesso perfino legittimato. Non è forse questa, nel senso più ampio del termine, una struttura mafiosa, che opera in modo decentrato ma convergente, imponendo con la forza la propria ideologia, senza mai assumersene la responsabilità?

Gli antifascisti parlano. Noi dobbiamo imparare

«L’antifascismo è più un’attività che un’identità. Conta ciò che si fa, non ciò che si è»

(Mark Bray, Antifa, p. 23)

Antifa: The Anti-Fascist Handbook non è un testo da censurare o di cui avere paura. È un testo da studiare attentamente e con lucidità militante. Un testo da analizzare senza pregiudizi ma con spirito critico: quello di chi riconosce la “loro” versione, senza però accettarne i valori e dogmi fondanti. Antifa contiene, nero su bianco, la versione reale di un progetto politico che non vuole coesistere, ma eliminare il dissenso. Mark Bray ci mostra cosa sia davvero l’antifascismo militante: una pressione ideologica che, con la scusa di combattere il fascismo storico, si arroga il diritto di decidere cosa è bene e cosa è male, chi può parlare e chi deve essere silenziato. Un potere che non ha bisogno di governi – anche se va a braccetto con i partiti e le amministrazioni – perché ha già conquistato spazi di potere irriducibili e molto difficili da scalfire. Ed è proprio per questo che oggi, più che mai, bisogna capire chi abbiamo di fronte. Oltre la patina fumosa della costituzione, dell’inclusività, dei diritti e della Palestina libera che i media e la cultura utilizzano per identificare l’antifascismo.

Vincenzo Monti

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