Roma, 1 mag – Oggi “The Guardian” titolava: “La paura del neofascismo tiene Emmanuel Macron davanti a Marine Le Pen”. In Francia la paura è rimasto l’unico mezzo per battere il Front National, che ormai spopola anche tra gli operai. Ecco perché a dare una mano alla causa ci si è messo anche il mondo del cinema, con la regia di Lucas Belvaux, che ha provato a sfruttare lo spauracchio lepenista a favor di cinepresa.
Ne è venuto fuori “Chez nous”, uscito lo scorso 27 aprile in Italia con il titolo “A casa nostra“, 117 minuti di pellicola squisitamente militante, che artisticamente dice davvero molto poco. Produzione franco-belga, regista nato a Namur, capitale della Vallonia (Belgio), il film è uscito il 31 gennaio nei Paesi Bassi, il 22 febbraio in Francia ed in Belgio lo scorso 15 marzo. Ma è stato in Francia che ha attirato maggiormente l’attenzione. “Una pietra scagliata contro il Front National”, scrive Giuseppina Manin su “Repubblica” in un pezzo che parla appunto del “film che fa infuriare Marine Le Pen”. “L’obiettivo del film, politico sì ma non militante – osserva il regista – è denunciare le insidie del populismo, svelare i meccanismi con i quali riesce a conquistare un così grande consenso, soprattutto nelle classi meno abbienti, compresi molti figli e nipoti di quelli immigrati che si vorrebbero cacciare”. “Il crollo delle ideologie”, prosegue Belvaux, “ha creato il qualunquismo, la sinistra è diventata autoreferenziale, ha perso il contatto con la gente comune. Ha dimenticato chi lavora, chi patisce. Non essendoci più idee né ideali si punta alla ‘pancia’ “.
La solita storiella che semplifica la realtà per tacciare di ignoranza o ingenuità (a seconda della convenienza) chiunque non è di sinistra. Una interpretazione banale che, però, il regista belga classe ’61 ha deciso di portare al cinema parlando di un fantomatico Raggruppamento Nazional Popolare, del Blocco Patriottico e dei legami mai del tutto sciolti tra il presente ed il passato, con storie fatte di pestaggi, dossier, auto incendiate, valigette piene di soldi, doppiopetto e manganelli, tanto per ricalcare gli stereotipi alla “American History X”. Tutto ciò, naturalmente, al riparo da qualsiasi denuncia reale. Marine Le Pen, infatti, nel film si chiama Agnès Dorgelle (una biondissima Catherine Jacob), il simbolo del partito è modificato ma abbastanza riconoscibile e, capigliatura a parte, anche le allusioni all’eredità politica del padre ed al cambiamento intrapreso in seguito alla diversità di vedute sono del tutto esplicite. Del resto, in una intervista con l’Huffington Post, ancora il regista definisce “partito totalitario” il Front National, colpevole di non aver gradito un film che lancia accuse a casaccio e nel mucchio a ridosso delle presidenziali. “Il titolo viene da uno slogan dell’estrema destra francese”, spiega, “che si sente spesso negli incontri di Marine Le Pen, la gente grida “on est chez nous”, siamo a casa nostra che vuol dire che gli altri non sono benvenuti”. “Il loro modo di agire è improntato alla distruzione dell’avversario”, ha commentato in merito agli “attacchi” subiti per il film. “La più grande soddisfazione è stata quella di incontrare una elettrice del Fronte Nazionale che alla fine della proiezione mi ha detto che non lo avrebbe votato più”, conclude tronfio.
Nella fattispecie la pellicola, ambientata nella immaginaria cittadina rurale di Hénart, racconta di Pauline Duhez (Emilie Dequenne), infermiera a domicilio amata e conosciuta da tutti, figlia di un operaio metallurgico in fin di vita a causa dell’amianto. Pauline è la classica ingenua e brava ragazza, che si spende in tutto e per tutto per gli altri, che cura il padre malato, cresce i figli da sola ma non vota perché delusa. Il film, infatti, prende consapevolmente di mira quell’elettorato che in tanti hanno paura finisca proprio al Front National. Quell’elettorato preso in giro da destra e sinistra e che, se vota Le Pen, è destinato a diventare il nemico. Come accade proprio alla giovane Pauline che, convinta dal bravo e disponibile medico di famiglia Philippe Berthier (André Dussollier), accetta di candidarsi a sindaco per il Raggruppamento Nazional-Popolare mentre – guarda caso – decide al tempo stesso di incontrare un ex dei tempi della scuola, allenatore di calcio del figlio e, a quanto pare all’insaputa di tutti nonostante la piccola realtà cittadina, militante “nazional-rivoluzionario”, dedito a pestare migranti insieme al suo gruppo di skinheads e – fino a poco tempo prima – a sbrigare gli affari sporchi dei capi.
Stéphane Stankowiak (Guillaume Gouix) rappresenta il militante che ha rifiutato il “cambio di strategia”: “la mia storia è la vostra storia: è nel vostro interesse che la racconti?”, afferma di fronte al ricatto di Berthier, uno che per convincere Pauline a candidarsi le dice: “ti sembro un vecchio fascista?”. Sullo sfondo, gorilla, paramilitari, musiche che acquistano improvvisamente un tono drammatico in concomitanza con l’apparire sullo schermo di simboli o richiami “fascisti”. Addirittura, anche quando Stéphan fa paintball con gli amici e i figli di Pauline tutto appare cupo e tetro. E poi ci sono i comizi della controfigura di Marine Le Pen – ingoffita nelle forme e nei movimenti – con una rappresentazione scenografica a dir poco macchiettistica. I pedinamenti, le minacce. Gli allenamenti di boxe che assomigliano a pestaggi – i nazi non sanno fare altro (!). Le polo Fred Perry, le mimetiche, le croci celtiche, gli antifà (in questo è fedele alla realtà: loro sono esteticamente brutti anche nel film). Una carrellata che mette insieme verità e immaginazione in maniera troppo forzata per passare dalla dimensione militante (checché ne dica il regista) a quella artistica. Senza considerare un’evoluzione della trama in cui i cattivi (ovviamente skinheads) viene fuori che sono cattivi quando i buoni aggrediscono, rubano, minacciano e non tollerano Pauline e la sua scelta di campo. Tanto che, se proprio la realtà dovesse essere come la rappresentazione che ne fa Belvaux in “A casa nostra”, anche in quel caso non si potrebbe che stare dalla parte dei cattivi.
Emmanuel Raffaele
1 commento
“i nazi non sanno fare altro” me lo stavo chiedendo anch’io leggendo l’articolo. Ma a quanto tempo fa risale l’ultimo pestaggio di migranti?