Roma, 1 mag – Uno degli elementi che resta ancora nebuloso all’interno delle proposte di alternativa alle politiche globaliste è per certo riferito alla questione monetaria. Chi si oppone alla politica del debito avanza proposte spesso fumose, genericamente legate all’uscita del proprio sistema dall’Euro; persino la diagnosi della malattia economica che ci attanaglia a volte pare lacunosa e semplicemente riferita alle responsabilità politiche della classe tecnocratica.
L’esercizio è in effetti complicato. Per questo, troppo spesso, la dialettica mainstream trova agio nel trasformare ciò che è complicato in ciò che è volgarmente definito complottista, non degno di fiducia. Prassi alla quale anche l’ambiente accademico, schierato acriticamente su vecchie posizioni funzionali, nonostante quindici anni di recessione, sembra voler dare assoluta continuità. Proviamo così a dare forza ad alcuni presupposti tecnici nel tentativo di ampliare il dibattito sul così detto “sovranismo”.
La teoria quantitativa
Espressione tipica del liberalismo è che la moneta non debba mai influire sull’andamento economico di una comunità, ma che debba restare neutrale per rendere l’andamento dei prezzi costante in base alla produzione di beni e servizi. Evitiamo le formulette. Questo per gran parte del secolo passato ha significato che i gestori del tasso di interesse potevano governare in autonomia i cicli di inflazione o deflazione, sovraoccupazione o disoccupazione.
Le grandi crisi cicliche deflattive, tuttavia, indussero Keynes a modificare in parte questa teoria, permettendo al settore pubblico di incidere a sostegno degli investimenti interni, finanziando il proprio deficit grazie all’immissione di moneta a debito. Fu questo il punto di incontro fra liberali e socialisti durante il dopo-guerra.
La teoria quantitativa nella globalizzazione
Se prima degli anni ’90 l’aggiustamento dei prezzi ed il deficit pubblico trovavano un accomodamento grazie alla crescita economica occidentale (autofinanziamento interno), la decisione di aprire mercati e debito al mondo intero in cerca di più profitti, abbattimento dei costi e più ampie fonti di coperture finanziarie a quello stesso meccanismo di debito, ha provocato un corto circuito non ancora del tutto compreso.
La teoria quantitativa, nella prassi, si è andata modificando. Se i liberali ortodossi come Friedman predicavano alti tassi di interesse e bassa tassazione, e i neo-keynesiani bassi tassi di interesse ed alta tassazione, la globalizzazione sembra aver creato un mostro assoluto, di cui Mario Draghi e la Federal Reserve sembrano i campioni assoluti, per cui la politica monetaria determina una orrenda e costante condizione di tassi di interesse pari a zero a favore del solo sistema bancario finanziario ed ipertassazione per i cittadini, oggi così neo-sudditi. Nell’intento nascosto di a) finanziarie il meccanismo del debito attraverso il sistema bancario privato b) gestire in senso deflattivo l’economia (abbassare salari, costi e investimenti) c) coprire ogni deficit da mancata crescita attraverso l’iperfiscalità.
L’ulivo mondiale nato sotto il segno di Soros negli anni ’90, questo abbraccio mortale fra liberalismo e socialismo, ha così creato un sistema perfetto di decrescita infelice a impronta speculativa (vedi crollo Usa 2008); un ciclo economico negativo lunghissimo (per gli europei soprattutto) poiché applicato nella prospettiva del lungo periodo dell’intero mercato globale.
La teoria qualitativa della moneta
Fu un economista argentino, Walter Beveraggi Allende, analizzando la storia monetaria del suo paese ad introdurre nel linguaggio accademico una definizione assai importante. La teoria qualitativa della moneta si oppone alla neutralità liberale e socialista. Non è la quantità monetaria a determinare l’andamento dei prezzi e dunque dell’economia, ma la gestione qualitativa (immissione o dismissione), settoriale di essa. Inconsapevolmente Allende propose una sorta di corporativismo del sistema monetario, capace di incidere settore per settore, andando oltre la dinamica pubblico/privato, sottraendo la politica monetaria alla gestione privata dei grandi gruppi finanziari e ridando, come in origine, allo Stato e alle banche commerciali in competizione fra loro il compito di offrire credito allo scopo di ottenere pieno sviluppo e piena occupazione.
Ad oggi sembrerebbe avvenire il contrario, sembrerebbe cioè che i gestori della politica monetaria occidentale abbiano creato una teoria depauperistica della moneta, tesa a creare scientificamente recessione e disoccupazione, immettendo e dismettendo settorialmente una moneta morta: una moneta stampata gratuitamente dalle Banche centrali di riferimento il cui unico obbiettivo resta quello di bilanciare solo matematicamente i conti devastati delle democrazie bancarie occidentali laddove all’ipertassazione si affida il compito di raccattare quel che resta di una recessione interminabile.
Il problema del debito
Di fronte a questo scenario è chiaro un punto. Il ricatto del debito pubblico e della stretta creditizia sull’economia privata non finanziaria è praticamente totale. Per tornare a gestire in senso qualitativo la propria sovranità monetaria occorre in primis, afferrare un concetto: o si estingue il debito contratto o lo si rifiuta politicamente.
La seconda opzione, l’unica percorribile, tuttavia, presuppone un’autorevolezza politica e una solidarietà che, ad oggi, nessuna comunità nazionale sembra poter dimostrare. Inoltre, data la complessità del sistema economico odierno, tale rottura dovrebbe essere apportata non tanto a livello nazionale, quanto continentale.
Perciò, parlando di Euro, di Brexit (altro sistema bancario e finanziario rispetto a quello continentale), di trumpismo, di referendum per tornare alle monete nazionali, si presti cautela, studio e soluzioni di più ampia visione e maggiore concretezza. La questione monetaria, come la questione geopolitica, impone argomentazioni decisive.
Giacomo Petrella