Roma, 3 lug – Correva l’anno 1999 e nelle sale usciva il polpettone generazionale Come te nessuno mai del regista radical chic per antonomasia, Gabriele Muccino. I ragazzi protagonisti, tutti adolescenti, indossavano abiti già facenti parte del corredo del ribelle di sinistra degli anni precedenti, con in più qualche accessorio mutuato dalla sottocultura hip hop. Vediamo così spuntare gli immancabili rasta, la kefiah, pantaloni peruviani, flanelle, sciarpe multicolor e pantaloni larghi.
Dreadlocks su misura al G8 di Genova
La scelta del costumista di Muccino non faceva altro che riprendere ciò che vedeva indossato dai ragazzi dei centri sociali in quegli anni: le stesse mise, insomma, che avremmo poi avuto modo di apprezzare nei partecipanti al G8 di Genova. Anche qui, i compagni si distinguevano per le acconciature mutuate dai rastafari giamaicani, i dreadlocks magari fatti “su misura” in qualche cantina di San Lorenzo o di via Zamboni a Bologna, perché avevano troppa fretta di farsi vedere cosmopoliti per aspettare che i rasta arrivassero “naturalmente” su delle chiome evidentemente troppo occidentali per lo scopo.
No logo?
In questi anni spuntano e si diffondono i piercing, specialmente al volto, e in questo i 99 Posse hanno dato ai compagni italiani concrete indicazioni stilistiche, specialmente per quanto riguarda il bridge piercing della voce femminile, la napoletana Meg. Lei era la rappresentante delle compagne stilisticamente più hardcore: pantaloni cargo, frangetta mozzata, piercing, canottiere. Ai piedi dei compagni del 2000 arrivano le scarpe da skater, Dc Shoes, Volcom e chi più ne ha più ne metta, la sottocultura rave da techno parade detta legge. Gli uomini si limitano a farsi crescere i capelli a mentula di cane e ad abbellirsi con vistosi anelli alle orecchie meglio se su entrambi i lobi, in questo il no global Luca Casarini docet, ma è bene ricordare anche la svolta “militante” di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, passato in quegli anni (nel vestiario), da wannabe Vanilla Ice a copia italiana con la zeppola dei Rage Against the Machine. E mentre i loro idoli proclamavano il no logo di Naomi Klein, addosso ai sederi dei compagni crescevano jeans Meltin Pot, Carhartt, tutte marche da writers statunitensi che di equo e solidale avevano ben poco.
Eterno cattivo gusto
Ma veniamo a noi: cosa è cambiato nell’abbigliamento dei compagni in questi venti anni? A parte qualcuno che si è ripulito e ha sostituito le scarpe da skater con delle più borghesi Clarks (ma un po’ rovinate, che sennò si rischia l’accusa di essere ricchi), la capitana Carola e in generale l’equipaggio di Sea Watch ci mostrano come non ci sia stata nessuna evoluzione. Lei stessa si presenta con rasta lunghi fino alle terga, canottiere sbrindellate, monili etnici. Il suo compagno di lotta, Soeren Moje, macchinista della Ong Mission Lifeline, è invece una copia in technicolor dello Zulu dei già citati 99 Posse di cui ricordiamo il pregevole e pittoresco matrimonio, anch’esso summa stilistica dei compagni e che per maggiore cura riportiamo:
In breve, i compagni non si sono mai evoluti dagli anni settanta dei finti poveri e dei pantaloni peruviani presi al banchetto di via Sannio, non hanno mai smesso di ricoprirsi di orpelli che rappresentano tutte le culture del mondo (tranne quella di appartenenza) e nel tempo, sempre di più, sono diventati l’adamantina caricatura di loro stessi. Il sito Bufale.net si è affrettato a dichiarare che il meme divenuto virale sui social, quello con la “capitana” Carola e il virgolettato tratto dal celebre film di Carlo Verdone Un sacco bello “Guarda che io a mio padre gli ho già sputato in faccia, attento fascio …” è un falso, e la cosa di per sé fa già ridere: Carola e la compagna amica di Ruggero sono pressoché identiche, a convalidare questa tesi dell’immutabilità della turpitudine nell’abbigliamento dei compagni. Perché vestirsi bene ed esprimere uno stile pulito somiglia troppo ad una divisa, quindi è meglio buttarsi addosso, alla rinfusa, un canestro di ornamenti ed artifici rubati alle culture di tutto il mondo senza mai arrivare ad esprimere niente che non sia la parola “contro” – in questo caso, contro il senso estetico.
Ilaria Paoletti
8 comments
… e della carenza di igiene vogliamo parlare? Non è per caso che si chiamano zecche.
ma vai a caghare
come sei figa a dire Mentula e non cazzo ……… piccolina, mi ricordi i calzini celesti del giudice Mesiano …… ricorderai ?
non porto i dred, non sono una zecca rossa, sono il classico “formalino” e chi sei tu per giudicare il mio essere, perché, il tuo il mio essere formale dovrebbe essere migliore di chi si acconcia diversamente da noi ? Possibile che la forma debba essere più importante della sostanza ?? Possibile che usate queste bassezze come argomenti e riesci anche a scriverne parecchie righe … sei molto brava.
oltretutto un soggetto con una cultura di destra: divise / uniformi, si impegna in un panegirico di “costume” ??
Uni – Forme
intanto, quello che vorrei capire è, ma voi dell’ignoranza (funzionale) dei vostri “seguaci” ne siete coscienti ? Come vi sentite quando realizzate che con i vostri pifferi riuscite a manovrare una massa di individui cattivi ed ignoranti …. prova a chiamare ignorante uno di loro, e tu lo sai che essi lo sono, avresti una risposta del tipo, ma come ti permetti, io ascolto il tg , leggo i giornali e tu mi dici che sono ignorante ….. e voi ci guazzate ……
che amarezza
ancora a commentare il vestiario delle persone….. tristezza. Chiamare zecche delle persone per i dread?? …… voi che pensate cosi…un consiglio non riproducetevi almeno limitiamo i danni.
Comunque quelli che sono andati a Genova al g8 nel Luglio 2001 ,al di la del look,avevano ragione loro secondo me..
ancora a commentare il vestiario delle persone….. tristezza. Chiamare zecche delle persone per i dread?? …… voi che pensate cosi…un consiglio non riproducetevi almeno limitiamo i danni.
…è uno scherzo ? purtroppo no, voglio girare questo post a un paio di amici per far vedere il livello delle “ragazze” (eterne, mai cresciute) in italia…
Tutti fascisti siete ormai, nazione di merda