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L’euro non è più un tabù. E la sua fine è già iniziata

by La Redazione
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uscita euro itaRoma, 7 mag – Comunque vadano le elezioni francesi di oggi, e sperando sempre nel miracolo dell’affermazione di Marine Le Pen, un risultato importantissimo l’abbiamo già ottenuto: tutti i candidati, compreso il pupillo di Attali con la moglie carampana, hanno ostentato almeno in determinati momenti pose euroscettiche. Dal punto di vista psicologico, la questione è molto chiara: l’euro non è più un tabu. Certamente, il discorso dominante è sempre quello che va dalla nuova destra alla vecchia sinistra, da Vafufakis a Stein, da Bergoglio a Macron del “siamo contro a questa Europa”, ovvero della retorica per cui l’Ue potrebbe essere riformata dall’interno, ma comunque anche questa è destinata ad essere spazzata via con il tempo.

Lo sappiamo bene: l’euro è una moneta senza Stato, e quindi è priva di quei naturali strumenti fiscali di compensazione degli squilibri interni che essa stessa genera. Ha fatto scuola il “padre dell’Europa” Jacques Delors, che paragonava il progetto europeo ad una bicicletta: chi vi sale non può smettere di pedalare, pena un disastroso ruzzolone. Passi che molti stati dell’eurozona non hanno fatto i famigerati compiti a casa (abbiamo detto in tutte le salse che è una balla, ma prendiamola per vera per continuità del discorso). Passi che alcuni hanno gestito in maniera irresponsabile le finanze pubbliche (come sopra). Ma la verità è che, a lungo termine, due sole sono le soluzioni sostenibili: o gli Stati Uniti d’Europa, o il ritorno alle valute nazionali.

Esiste qualcuno che crede sinceramente che sia possibile addivenire ad un governo europeo? Si accomodi e nel frattempo si ripassi la storia della Jugoslavia. Nel frattempo, le tecnocrazie europee, ben consce del fatto che l’europeismo è semplicemente il velo di maia ideologico per gli allocchi atto a nascondere la totale sottomissione degli Stati d’Europa alla potenza dominante d’oltreatlantico, a suo volta braccio armato dell’oligarchia, si preparano a condurre in porto la cosiddetta “unione bancaria” che è quello che gli preme maggiormente ora come ora. Essa è stata pensata per recidere il legame che fa dipendere la solvibilità delle banche dalla solvibilità dei rispettivi Stati e viceversa. Il meccanismo di vigilanza unico e il meccanismo di risoluzione unico, i primi due pilastri dell’Unione Bancaria, che hanno trasferito in seno alla Bce i poteri decisionali circa la vigilanza e la ristrutturazione delle maggiori banche europee, sono già in vigore. Ma il terzo pilastro, lo schema europeo di garanzia dei depositi, è ancora oggetto di aspre discussioni perché ovviamente non si capisce esattamente chi dovrebbe pagare chi. Non a caso hanno tutti, dalla Merkel in giù, ripreso a parlare di Europa a geometria variabile o a due velocità o analoghe sciocchezze, ridimensionando l’obiettivo dell’unione politico-fiscale, che però sarebbe, e qui sta la contraddizione, l’unico sbocco coerente della moneta unica. Si temporeggia perché il crollo della moneta unica sarebbe la dissoluzione di una intera cricca politica che sull’europeismo ha fondato tutto il suo discorso politico, la sua credibilità e la sua ragion d’essere.

In Italia questa è stata eufemisticamente indicata come “seconda repubblica” da parte dei media sussidiati di regime, a volerne indicare la discontinuità con una presunta prima repubblica fonte di ogni nefandezza. In effetti, la discontinuità la possiamo vedere tutti i giorni nello sfacelo politico, economico, sociale, culturale e spirituale in cui siamo immersi. Comunque vada, la strada per Marine Le Pen e per tutti i patrioti europei è ancora in salita, praticamente una cordata. La novità è che forse per la prima volta anche i nostri avversari arrancano.

Matteo Rovatti

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