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“Fascisti contro la democrazia”: l’ultima opera dello storico dell’Anpi e la sua banalità

by Marco Leonardi
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Fascisti contro la democrazia

Roma, 1 set- Si chiama Fascisti contro la democrazia, l’ultimo libro di Davide Conti presenta al lettore gli esiti scaturiti dall’utilizzazione spregiudicata e pre-orientata delle fonti documentarie. Quale parola imperversa nel nostro tempo, senza flessioni, sulla stampa d’informazione in lingua italiana? Fruite di televisione, radio, internet, socialmedia, siete favorevoli o contrari alla virtualità due punto-questo o all’avatar punto-quello? Non avrete scampo: la parola fascismo vi seppellirà! Non alludiamo a risate anarchiche, di ispirazione bakuniniana. Dal 1995 la minaccia paranoide di un fascismo eterno, Umberto Eco dixit, si traduce in un profluvio di pubblicazioni, al cui confronto neanche la Bibbia può dormire sugli allori dell’inscalfibile primato della notorietà.

Fascisti contro la democrazia: un parto di uno storico dell’Anpi (e si vede)

In linea di continuità con la poetica di Aristotele del IV secolo a. C., che postula la congruità formale e contenutistica tra la materia trattata e l’espressione scritta, oggi tutt’altro che scontata, evidenziamo l’uscita di un saggio che dispensa al lettore spunti di riflessione. ‹‹Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana (1946-1976)››, uscito per i tipi di Einaudi nella frizzante collana ‟Passaggi” (pp. 329, Euro 19). Lo storico e sodale dell’Anpi Davide Conti, è studioso di parte. In un intervento sull’uso pubblico della storia, ha raddolcito la tragica storia delle Foibe ad una ‹‹jacquerie contadina, una rivolta spontanea›› e ha rievocato gli eventi del luglio 2001, corrispondenti al G8 di Genova, perché segnati da atti di tortura compiuti dalle forze dell’ordine, ‹‹abusi che […] andranno in prescrizione nel corso del tempo››. Nell’arco di oltre trecento pagine, sapientemente ripartite in sette capitoli dipanantesi in rigoroso ordine cronologico, Conti ricostruisce tanto meticolosamente quanto faziosamente la storia della destra italiana dal 1946 al 1976, glossata dall’autore come ricca di ombre e di nessuna luce, avente come unici capofila Giorgio Almirante e Pino Rauti, che hanno ricoperto la carica di segretario del Movimento Sociale Italiano lungo la seconda metà del Novecento.

L’orientamento dato da Conti alla narrazione susciterebbe l’emulazione solerte di qualsivoglia discepolo dello storicismo. Con buona pace dei tentennamenti della storiografia odierna, che annaspa in sentieri interrotti, il libro si apre e si chiude con la stessa, granitica dicitura: ‹‹fascisti contro la democrazia››. Mancano nomi allusivi a quell’Italia ‹‹onesta e per bene›› che i corsivi di Missiroli, Prezzolini e Montanelli lamentavano essere senza cospicua rappresentanza politica. Sono assenti i rimandi alle forze monarchiche e liberali, dal Secondo Dopoguerra agli Anni Settanta del Novecento interlocutrici tra la maggioranza silenziosa e i palazzi del potere. Dimmi come interpreti le fonti e ti dirò quale storico sei: occorre fare il verso a Manzoni per individuare e neutralizzare l’impalcatura ideologica a fondamento del libro.

Dietro un ecumenismo di facciata, consistente nella presentazione di un apparato di note nel quale coesistono rimandi all’archivio dell’Istituto Gramsci e riferimenti alla pubblicistica di destra, dal ‹‹Borghese›› al ‹‹Secolo d’Italia››, la mano dell’autore segmenta dichiarazioni e le ricuce, a suo piacimento, nell’ordito d’insieme. Emblematico, a riguardo, è il profilo di Pino Rauti (1926-2012), noto per le sue aperture a temi ritenuti feudo della sinistra, dal terzomondismo alla cura dell’immaginario giovanile. Dalla penna dell’autore emerge solo l’animus antidemocratico del fu ordinovista. Dell’approvazione rautiana per fenomeni partecipativi che rivalutarono il ruolo della donna, quali i ‹‹Campi Hobbit›› di ispirazione tolkeniana, non v’è traccia. L’autore concentra i suoi strali unicamente sul ‹‹Movimento Sociale Italiano››, declassato ad un partito-lavatrice in grado di fagocitare e ripulire le sporcizie chiamate subordinazione alla CIA e soggezione al Vaticano. Il perdurante atto d’accusa, presentato con l’eleganza della citazione documentaria, tocca il vertice nella ricostruzione del periodo stragista, dal 12 dicembre 1969 con Piazza Fontana al sabotaggio del treno Italicus, datato 4 agosto 1974. Del tutto assente è la rivalutazione del laborioso lavoro parlamentare, svolto ininterrottamente dal MSI-DN (la dicitura che dal 1972 accompagnerà il partito, in seguito all’ingresso dei monarchici) nell’arco cronologico prescelto. Come definire il governo Tambroni, il primo tentativo della storia repubblicana di dare al Belpaese una guida conservatrice e moderata, naufragato nel luglio del 1960 a seguito di violente dimostrazioni di piazza, orchestrate anche dal Partito Comunista? ‹‹La base e la cultura politica missina erano assolutamente estranee alla misura della democrazia costituzionale››, sentenzia Conti.

Egli rincara la dose nel prosieguo. L’azione politico-legislativa partorita dalla ‹‹sputacchiera amica›› della Democrazia Cristiana, non era da attribuire a null’altro se non ad evitare il rischio di scomparire dal Parlamento, con il taglio dei finanziamenti che avrebbe decretato la morte del ‟carrozzone” tricolore. Per la serie: non se ne salva nemmeno uno! Partiamo dal filosofo Julius Evola, mai iscritto al partito e canzonato da Almirante come il ‹‹Marcuse di destra››, ridotto dallo storico di sinistra a un filonazista da operetta, espressione del ‹‹retroterra culturale che affondava le radici nel pensiero reazionario e antimoderno››, per arrivare alla mitigazione di quella condanna unanime e trasversale, espressa con limpida chiarezza da esponenti della sinistra come Bianca Berlinguer e Walter Veltroni, nei confronti di quegli assassini che hanno ucciso barbaramente uomini e donne lontani dalle leve del potere, ma considerati rei di morte in quanto vicini alla ‹‹Destra Nazionale››. Come interpretare il ‹‹Rogo di Primavalle›› dell’aprile 1973, quando Virgilio, di anni 22 e Stefano di 8, i figli del netturbino Mario Mattei, vennero arsi vivi nella loro abitazione, data alle fiamme con taniche di benzina perché il padre era il segretario della sezione rionale del Movimento Sociale? La risposta lascia attoniti: la tragedia di Primavalle fu ‹‹una vicenda che confermava il carattere violento del Msi››.

Un problema interpretativo

A restare inevasa, è la domanda di fondo che dovrebbe essere sottesa allo studio della destra post-bellica. Com’è stato possibile ad un partito, apostrofato come l’ultima ridotta della Repubblica di Salò e tenuto ai margini dell’arco costituzionale per oltre mezzo secolo, arrivare a rappresentare quasi tre milioni di italiani? Cosa spinse migliaia di giovani a rifiutare il miraggio di opportunismi per scommettere il proprio futuro su un partito che non offriva ancoraggi sicuri nei gangli della società civile? Non è antistorico continuare a ricostruire il profilo della destra italiana adoperando le categorie interpretative della sinistra extraparlamentare, risalenti ai defunti anni Settanta del ventesimo secolo? Il furore ragionato all’indirizzo di quanti si radunarono sotto il simbolo della fiamma, rende questo libro l’ennesima occasione mancata per ricostruire, sine ira ac studio, il primo trentennio di storia della destra nella Prima Repubblica.

Marco Leonardi

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