Lì era di fatti eretto anche uno dei due templi dedicati a Marte, ovviamente fuori le mura, posto a sentinella della città. Sebbene Feronia nell’Urbe non avesse un posto di rilievo tra le divinità maggiori, aveva comunque un largo seguito tra le altre popolazioni del centro della penisola italica, di cui forse il più importante a Capena ai piedi del monte Soratte, nel punto di incontro tra Sabini, Etruschi e Latini. Presso questi templi ogni anno i suoi adepti si riunivano per omaggiare la dea attraverso un rituale in cui era previsto il camminare sopra carboni ardenti ma, come dicono gli autori antichi, “senza ricevere danno”. Tipico di tutte le aree a lei sacre era inoltre la presenza proprio di un bosco sacro (Lucus) e di una fonte d’acqua, probabilmente con funzione lustrale. Nella stessa Roma, in Campo Marte, il suo tempio doveva sorgere, a quel che si sa, nei pressi di un Lucus.
Per poter comprendere chi fosse Feronia e quale aspetto presiedesse nella vita del cittadino romano, è necessario fare una digressione per conoscere alcuni meccanismi della religio romana. Per quegli uomini la realtà circostante era di fatto espressione di una realtà parallela e sottile, per cui la prima stava al mondo fisico come la seconda stava al mondo metafisico. Ogni aspetto della vita, pubblico e privato, era organizzato in maniera tale che i due ambiti fossero coincidenti. Fondamentale era l’esperienza interiore non certamente intesa come smania o brama di fare cose nuove, come può essere per gli uomini moderni, ma piuttosto intesa come conoscenza, ovvero la chiara comprensione dei meccanismi che stanno “dietro” i fatti ordinari. Tutto questo perché la separazione del mondo ordinato da quello caotico, è prima di tutto un fatto sottile e poi materiale, non si può organizzare un mondo fuori se prima non si ha la chiarezza dentro di sé dell’ordine e delle gerarchie.
Ma cerchiamo di capire chi fosse Feronia partendo dall’analisi del nome. Il nome è potenza, il nome richiama il senso di “numen”, che era proprio un termine con cui i Romani definivano le forza divine. Feronia contiene la radice fer– caratteristica di tutti i nomi che richiamano ad ambienti selvaggi. La lingua moderna conserva tracce di questa radice nella parola “fiera” e “ferino” riferito ad animali selvatici e la cui etimologia è proprio “fera”, che a sua volta non può essere distaccato da ferus che significa “indomito, selvaggio, crudele”. Molte lingue del ceppo indoeuropeo hanno conservato il ricordo comune del senso di questo termine: il dialetto eolico greco lo chiama PHÈR, l’attico THÈR e ancora lo slavo antico ZVERI, fino al tedesco con T(H)IER = animale. In definitiva si ha a che fare con un ambiente selvatico e non a caso i suoi luoghi di culto sono sempre stati fuori dai centri abitati, in zone boscose o comunque al limine di esse: è una divinità dell’ager in contrapposizione all’urbs.
Un secondo aspetto risiede nella parte finale del nome. È risaputo che le desinenze in –ōna e –ōnia indicavano un cambiamento che era prima di tutto interiore. Conoscendo il significato portato nel nome della divinità, risulta dunque evidente come Feronia fosse una divinità che rappresentasse il limite tra il mondo agreste, selvaggio e indomato caro a Fauno e Silvano, e il mondo della coltivazione “addomesticata”, dove cioè l’uomo era riuscito ad organizzare il mondo della (propria) natura strappandola al caos, sapendole conferire un ordine ed una fruttuosità mettendo le forze ancora selvagge della Natura al servizio degli uomini. Questo ruolo “guaritore” è ovviamente da intendere nell’ottica secondo cui anche i vari malanni erano riflesso di un conflitto energetico, che avveniva dentro l’essere umano tra forze antagoniste e quindi la ricerca di soluzi
Essendo Feronia legata al concetto di “passaggio di stato”, i Romani le attribuirono allora anche il compito di presiedere alla liberazione degli schiavi. Cosa c’entra però la liberazione degli schiavi con il passaggio dall’indomito al domato? Secondo la visione sacra che i popoli antichi avevano della vita, lo schiavo non era certo tale per motivi profani o accidentali, bensì era tale perché incapace di essere libero, autosufficiente, incapace di darsi una legge interiore e di saperla rispettare, incapace di una visione superiore del mondo e di dominio su di sé. Gli schiavi erano persone tornate ad essere selvagge, incivili in quanto incapaci di rispondere autonomamente alle leggi della cives, abbrutite e tornate allo stato animale. Feronia interviene in tutto questo come domesticazione dell’elemento selvaggio presiedendo religiosamente ad un mutamento. Per questo la dea esercita la tutela sulla liberazione degli schiavi: per Servio è “libertorum dea” e che nel suo tempio gli schiavi, con la testa rasata in segno di rinascita, ricevevano il pileum che era il berretto degli uomini liberi: lo scrittore ci dice che nel tempio di Terracina si trovava un sedile di pietra su cui i richiedenti libertà sedevano e su cui era scritto “Bene meriti servi sedeant surgant liberi”, “Gli schiavi benemeriti seggano e si alzino liberi”.
Feronia, guardiana del passaggio, dava la possibilità di salire sul trono per quelli giunti fin lì per merito e devozione e che dovevano affrontare consapevolmente il proprio cambiamento di stato da seguaci ad artefici della pr
L’atto di bruciare il debito è un atto altamente simbolico per tutto ciò che comporta: è la consapevolezza di aver saputo gestire autonomamente le proprie risorse e di aver potuto attuare una politica economica nazionale, autonoma e indipendente, che non deve più rispondere a creditori di nessun tipo né a influenze esterne. È il poter rispondere solo a sé stessi nel grande corpo che è lo Stato. Fu un atto potentissimo perché segnava il cambio di passo rispetto ai precedenti governi borghesi, liberali e decadenti in favore di un’altra civiltà basata su una nuova visione dello Stato, della società e del lavoro. Fu dunque un passaggio da uno stato di anonimato e di sterilità che ebbe come conseguenza la “Vittoria mutilata” di qualche anno prima, di disordini e improduttività che vide il suo apice nel biennio rosso ad una rinnovata capacità di affermazione e di normalità, di tentativo di ristabilire l’ordine e le gerarchie e l’autorità ad uno Stato (esteriore e quindi interiore) precedentemente inesistente.
Marzio Boni