Roma, 9 set – Scrivo “Notti magiche” solo per criticarne l’utilizzo. Non che sia una cosa sbagliata, sia chiaro. Anzi, è una memoria storica che va comunque preservata e la mia osservazione è puramente soggettiva. Semplicemente, mi hanno sempre infastidito le espressioni inflazionate, specialmente se riferire a un’esperienza culminata con una “sconfitta” inatessa. Specialmente con il grande Mondiale che gli azzurri avevano disputato. Che tutti noi, tifandoli, avevamo disputato (il tifo è partecipare senza giocare, per quanto possa sembrare assurdo). Però, al di là di questo, una notizia sta lasciando tutti con il fiato sospeso, ed è il ricovero di Totò Schillaci, vero alfiere di quella estate emozionante, a seguito di complicazioni dovute a una malattia con cui sta combattendo da anni. Impossibile non pensarci, impossibile non nutrire un minimo di apprensione per un personaggio a cui, in modi diversi, ci siamo affezionati davvero tutti.
Da bambino adoravo Schillaci
Da bambino adoravo Totò Schillaci. Mi ci ero proprio affezionato, in modo – ovviamente – infantile, ma fortissimo. Detestavo Gianluca Vialli, ma senza una ragione precisa: probabilmente mi infastidiva il fatto che fosse un calciatore di ben altro spessore. Ma questo conta poco. Le sensazioni negative infantili valgono poco. Nel tempo ho voluto bene anche a Gianluca, perché l’ho tifato anche in casa, perché l’ho visto commuoversi quando la Juventus vinse la Champions League della riscossa nel 1996. Ora voglio bene a entrambi. A Gianluca, anche se non c’è più, e anche a Totò, che è ancora tra noi. Quello che mi fece vivere nel giugno-luglio del 1990 è impossibile da dimenticare.
Impossibile da dimenticare quel sogno di vedere la propria Nazione alzare la coppa del mondo, per me che, nato nel 1981, non potevo ricordare l’impresa del 1982. Quei gol che ci spinsero quasi all’atto finale. Quasi, perché quella maledetta uscita di Zenga rovinò tutto. In qualche maniera, il mondiale del 1990 è stato un “segnalibri”. Forse proprio da quella delusione in semifinale nasce la veemenza con cui sono diventato tifoso azzurro. Dovevo vincere un mondiale, da tifoso, a tutti i costi. Schillaci fu il primo a farmelo desiderare davvero. Venni accontentato 16 anni dopo. E fu una gioia immensa. Ma nessuno mi toglie dalla testa che se avessi assistito da bambino a un trionfo, forse, mi sarei sentito “sazio” e non sarei stato così attaccato a questi colori. Per carità, pura sensazione.
Forza, Totò
Tutti si chiedono come stai. Forza Totò, Forza Schillaci. Il fatto che non sia stato certamente il primo a scrivere queste parole, vuol dire tanto. Significa che la mia passione non era solo “mia”, ma di una Nazione intera, riunitasi forse per l’ultima volta in modo così compatto intorno alla Nazionale di calcio. Una squadra fortissima che non vinse davvero per uno scherzo del destino (e delle uscite dai pali improprie). Di quella squadra, caro Totò, tu eri un perno assoluto. Con i tuoi occhi spiritati, con la sorpresa di essere diventato improvvisamente guida di un intero movimento calcistico, all’epoca indiscutibilmente il più potente al mondo. Una forza che abbiamo perso e che abbiamo deciso di distruggere da soli, assediati da un’esterofilia insopportabile e dalla capacità davvero inquietante di distruggere ogni giovane, che sia un potenziale fuoriclasse come di un elemento “sorprendente” come Totò Schillaci. Lo stesso Schillaci che ora, forse, non lo sappiamo, sta lottando per continuare a vivere.
E a cui noi saremo sempre vicini. A cui vorremo sempre bene. Per quello che ha rappresentato e per come ci abbia fatto innamorare dei colori azzurri. Grazie, Totò, Forza Totò.
Stelio Fergola