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I tentativi di demonizzare la remigrazione

by Michele Iozzino
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Roma, 12 feb – Un po’ ovunque si comincia a parlare di remigrazione. Concetto politico portato alla ribalta in Francia tempo fa da Laurent Ozon e successivamente reso popolare dall’austriaco Martin Sellner. Il termine si sta facendo largo anche nel dibattito pubblico italiano, a, come sempre succede quando si toccano nervi scoperti quali l’immigrazione, assistiamo già ai tentativi di demonizzarlo e distorcerlo.

Che cos’è la remigrazione

Cosa s’intende per remigrazione? Una delle formulazioni più efficaci è probabilmente quella data da CasaPound nella sua proposta politica dedicata appunto a questo tema, chiedendo “la remigrazione totale e senza compromessi di tutti gli immigrati irregolari presenti sul nostro territorio” e di incentivare “il rimpatrio volontario verso i paesi d’origine per tutti i discendenti d’immigrati nati in Europa, attraverso strumenti di collaborazione diplomatica ed economica con i paesi d’origine”. Da una parte, insomma, il rafforzamento o, meglio, la reale attuazione di politiche di espulsione contro quegli immigrati che non hanno titolo, dall’altra – e questa è, forse, la parte più originale e più inerente al concetto di remigrazione – creare degli strumenti politici per favorire il ritorno a casa di tutti gli altri immigrati e figli di immigrati. Un esempio che viene spesso citato in questo senso, è il caso della Rückkehrhilfegesetz del 1983 o, per dirla in italiano “legge sull’assistenza al ritorno”. Legge che la Repubblica Federale Tedesca varò per promuovere il rimpatrio degli stranieri disoccupati, principalmente turchi, e che prevedeva un bonus una tantum di 10.500 marchi con un’aggiunta 1.500 marchi per ogni figlio minorenne che gli immigrati si sarebbero riportati al Paese d’origine. Un cambio di rotta importante, perché da un atteggiamento passivo nei confronti del contrasto all’immigrazione si passa ad un qualcosa di attivo.

Tra demonizzazione e falsificazione

Se, invece, guardiamo a certa carta stampata il concetto di remigrazione viene trasformato in una specie di equivalente per deportazione di massa. Ad esempio, Il Post descrive la remigrazione come l’idea di “espellere con la forza da un certo paese tutte le persone straniere la cui presenza è ritenuta problematica, anche se hanno un regolare permesso di soggiorno”. Commentando, peraltro, in questo modo: “È un’idea che se applicata violerebbe qualche decina di norme nazionali ed europee, che genererebbe sofferenze fisiche e psicologiche a milioni di persone, e che ha una natura razzista”. Così come Il Post, molti altri insistono su come la remigrazione avverrebbe “con la forza”. Una sottolineatura che, però, è arbitraria e ne travisa il significato. Infatti, come abbiamo visto, nella sua dimensione più originale la remigrazione propone ben altro tipo di leve, principalmente politiche ed economiche, per favorire il rimpatrio degli stranieri e se proprio si può parlare di uso nella forza è nell’applicazione di quanto già esiste. Al posto che spendere milioni per un modello fallimentare come quello dell’accoglienza, si possono usare quei soldi per incentivare la remigrazione, risolvendo molti più problemi. Più sottilmente, l’immagine della remigrazione come qualcosa di forzato sembra voler mettere quest’ultima in contraddizione con l’idea, spesso propugnata a sinistra, dell’immigrazione come un fenomeno naturale e per ciò ineluttabile, come a dire che l’immigrazione è giusta e naturale solo quando avviene in un senso, cioè dal resto del mondo all’Europa, mentre nel senso contrario sarebbe qualcosa di artificiale e coatto. Tutto ciò ricorda quando accaduto per la Grande sostituzione, bollata a torto come teoria complottista pur di non discuterla e squalificarla a priori.


Michele Iozzino

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