Roma, 10 set – “Affonda il cinema italiano”, “non si può guardare solo ai profitti”, più varie ed eventuali. In un mondo normale, sarebbero valutazioni anche giuste. In quello reale, soprattutto italiano, sono affermazioni senza senso, o meglio, furbescamente interessate. Perché da sempre, i fondi per il cinema, hanno destinazioni che vanno quasi esclusivamernte nelle solite direzioni “liberal progressiste” e ovviamente anti-italiane. In estrema sintesi, “sinistre”. E così la riforma di Gennaro Sangiuliano, ex ministro della Cultura da poco sostituito da Alessandro Giuli, passa pure per quella da “lupo cattivo”, come del resto è stato etichettato dai soliti sedicenti ben pensanti dopo lo “scandalo Boccia”.
La sinistra piange e strepita contro la riforma Sangiuliano
La riforma di Sangiuliano, in verità, era concentrata su un ambito in particolare: quella dell’introduzione dei cosiddetti “contributi selettivi” al cinema. Sotto attacco il controllo qualità, per una spesa che si aggira fino a oggi a 841 milioni di euro fino al 2022. Ma che soprattutto finiscono sempre ai soliti noti, o meglio ignoti nella loro gravità, registi e autori veicolanti sempre i soliti messaggi. Il problema della qualità c’è senz’altro, ma c’è anche quello di un messaggio culturale monolitico che non è mai stato messo in discussione da nessuno. Un tema su cui si è anche sfogato il regista Pier Francesco Pingitore sulle pagine del Giornale.
Un colloquio in cui l’autore esprime il suo disappunto e ammette di aver cercato anche di “diventare di sinistra” per poter sbarcare il proverbiale lunario. Senza successo, perché “non c’era spazio”. Sono testimonianze antiche, quelle della sinistra che detta legge nel cinema. Si ricordino i continui resoconti di Pupi Avati, uno dei più grandi registi della storia del cinema italiano e mondiale, il quale per diventare ciò che è diventato ha dovuto scegliere una sola strada: autoprodursi. Perché se aspettava chissà quali “aiuti” agli esordi, come si suol dire in gergo, “aspetti e speri”, caro Pupi.
Ma chissà come mai, proprio da sinistra sono scoppiati i fegati. Con Elly Schlein che si scopriva anti-materialista e forse addirittura pseudospirituale, lamentandosi dell’ossessione per il profitto sopracitata. Ma quello fa parte della truffa ideologica del Pd, e ci possiamo pure passare sopra, anche perché nessuno crede più alla baggianata della sinistra solidale, statale ed egualitaria. Più preoccupanti sono le comunicazioni riferire al nuovo ministro Giuli, il quale, si legge, deve venire “rapidamente in parlamento per esporre le linee programmatiche dell’azione del ministero della cultura”.
Già ci sono le pressioni del Feudo per annullare il progetto Sangiuliano, insomma.
Forse uno dei ministri più controcorrente
Certamente, su dichiarazioni di cartello “antifasciste” e sedicenti democratiche il ministro ha dovuto pagare dazio. Come sulla ristrutturazione dell’Albergo dei Poveri di Napoli e i suoi Pride Lgbt. Ma non si può negare che sul resto Sangiuliano abbia fatto tutto sommato ben più di “qualcosa”, in termini operativi. E non lo ha mai nascosto, nelle sue dichiarazioni di intenti. Non solo la bella mostra su Giovanni Gentile, che è qualcosa di meno strutturato, per quanto lodevole, ma anche la stessa riqualificazione del dicastero, oltre che sulla gestione dei fondi, che sono ben più pesanti. “Sono consapevole di aver toccato un nervo sensibile e di essermi attirato inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema”, aveva detto il ministro. “Eh beh”, rispondiamo mestamente noi.
Forse è questo – anzi, togliete pure il “forse” – che ha rizzato le antenne e – al di là di qualsiasi ingenuità senza dubbio criticabile nell’ex titolare del ministero stesso – scatenato lo scandalo Boccia e, guarda un po’, generato un’indagine a suo carico. Rispetto alle medie di discontinuità piuttosto basse di questo governo, Sangiuliano è andato un po’ più in alto. E non va mai bene, che si vada un po’ più in alto. Come ben sappiamo.
Stelio Fergola