Roma, 15 giu – Il 18 ottobre 2014, Matteo Salvini portava decine di migliaia di cittadini in piazza a Milano per dire “Stop invasione”. Il leader leghista non era ovviamente il primo a utilizzare l’espressione per designare i flussi immigratori incontrollati, ma certo è quello che gli ha dato maggiore ribalta mediatica.
Ovviamente si alzarono subito gli scudi di media e “analisti”: macché invasione, gli immigrati non sono tanti, anzi, forse sono pochi, dovrebbero essercene di più.
Il ragionamento si presentava già claudicante, poiché se a fronte degli allarmi il pensiero dominante tende a sminuire il fenomeno come turbolenza superficiale tranquillamente gestibile, non si capisce perché non si possano invertire i flussi.
Ma delle due l’una: o l’immigrazione è irreversibile, ma allora significa che sta cambiando in profondità le nostre società ed è normale essere allarmati, oppure gli immigrati sono pochi, e allora che ci vuole a rimandarli a casa?
Rompicapo ideologici a parte, tutti ci rassicurano del fatto che l’invasione non c’è. Negli ultimi giorni, tuttavia, c’è un’altra parola della neolingua che si è imposta sulla scena: esodo. L’immigrazione, ci dicono, è un “esodo biblico”. Solo negli ultimi giorni hanno usato la metafora il Corriere della Sera, l’Huffington Post, La Nazione, il Messaggero Veneto, il filosofo Massimo Cacciari, l’eurodeputato e segretario del Pd sardo, Renato Soru etc.
Se l’immigrazione non è un’invasione, quindi, sembra certamente essere un esodo. Lo attestano fonti sinceramente democratiche.
Ma che differenza c’è? Qualche dizionario può aiutarci a capire. L’esodo, infatti, è definito come “uscita da un luogo; emigrazione volontaria motivata da ragioni morali, religiose o politiche, frazionata o, più spesso, di massa”, ovvero la “partenza in gran numero di persone”. L’invasione è invece, al di là del significato propriamente militare, “la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi”, “l’irruzione violenta o arbitraria di persone in un luogo”.
Sarà, ma a chi scrive sembra abbastanza chiaro che si tratti della stessa cosa vista da due prospettive differenti. Chi parla di esodo, quindi, sta parlando di un’invasione vista con gli occhi degli invasori (che costoro si percepiscano come tali o meno è del tutto irrilevante), si sta semplicemente identificando con la prospettiva degli altri, anziché con quella del proprio popolo.
Il che la dice lunga sul grado di alienazione di chi usa tale categoria, ma al tempo stesso conferma che chi parlava di invasione non si stava inventando nulla. Allora gli “xenofobi” non stavano “soffiando sul fuoco” o “alimentando le paure” rispetto a un fenomeno “controllabile” e “non allarmante”: se c’è un esodo significa quanto meno che il fenomeno è preoccupante.
La scelta lessicale, del resto, non è innocente e attinge alle categorie spirituali monoteistiche che permeano l’Occidente, forse paradossalmente più nelle sue propaggini laiche che in quelle religiose. Tempo fa il filosofo ebreo-americano Michael Walzer scrisse un libretto, Esodo e rivoluzione, in cui spiegava quanto il secondo libro della Torah ebraica avesse influito sulle correnti del radicalismo politico di sinistra.
Nell’Esodo, infatti, c’è tutta una visione del mondo: la fuga dall’oppressione, ma in senso esteso anche dalla politica stessa, dalla categoria della politica che la Bibbia non ha mai cessato di ritenere blasfema in quanto tale; il viaggio, la traversata del deserto come percorso di redenzione, come cammino salvifico, motivato da ragioni morali; il nomadismo come struttura mentale, il non avere patria come condizione normale; la ricerca di una terra promessa, di una patria messianica che non è una patria tra le altre, ma forse l’anti-patria, una nazione che è la fine di tutte le nazioni e la cui fondazione non richiede alcuno sforzo volontaristico (motivo per cui molti ebrei giudicano “blasfemo” lo stato di Israele, in quando creato empiamente da uomini con una decisione politica e non attraverso il compimento di una profezia di Yahwh in persona).
Questa escatologia allucinata ha scelto l’Europa come terra in cui far avvenire il compimento della profezia. Qui tutte le nazioni dovranno cessare di essere tali, sia quelle residenti ancestralmente che quelle in arrivo. A quel punto “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi” (Is 11,6-8). Il mondo invertito. L’inferno in terra. Ma quanto sono buoni…
Adriano Scianca