Milano, 26 gen- È la sera del 28 di aprile di sette anni fa e al Camp Nou di Barcellona sta per finire il match fra gli spagnoli e l’Inter con i nerazzurri sotto di un gol, ma qualificati per la finale di Madrid in virtù del 3-1 rifilato allo squadrone spagnolo nella partita di andata a Milano. L’arbitro fischia, l’Inter è in finale, ma gli occhi di tutti sono rivolti verso un uomo che scatta dalla panchina nerazzurra e corre per tutto il campo con l’indice rivolto ai cinquemila tifosi della “Beneamata” arrivati in Catalogna. È José Mourinho, lo Special One, nato a Setúbal, in Portogallo, proprio il 26 gennaio del 1963.
Zlatan Ibrahimovic, non uno qualunque, ha dichiarato che avrebbe ucciso per il tecnico lusitano, il quale non perdeva certo occasione per mandarle a dire ai suoi avversari. Senza peli sulla lingua, è ancora amatissimo a Milano, sponda Inter, così come lo acclamano i tifosi del Real Madrid, del Porto o del Chelsea. Forse, in Italia il ritorno di un personaggio come Mou sarebbe auspicabile, memori di come divise l’opinione pubblica, non solo quella pallonara, con i suoi gesti e le sue dichiarazioni: dalle manette mimate durante un infuocato Inter-Sampdoria, agli sfottó nei confronti del direttore sportivo del Catania Lo Monaco passando dal litigio con un giornalista della Gazzetta dello Sport.
Qualunque cosa si possa dire o pensare di lui, la storia del nostro calcio è stata segnata profondamente da questo vero e proprio genio portoghese, capace di far compiere all’Inter qualcosa che mai nessuno prima era riuscito a fare: il celebre Triplete. Auguri, quindi, a José Mourinho da Setúbal. O, come direbbero da quelle parti: parabèns, José!
Giacomo Bianchini