Roma, 23 gen – Imperversa nel mondo culturale di destra una certa idea circa l’autodeterminazione dei popoli che però ha molte sembianze col marxismo culturale. È necessario scardinarla e superarla, partendo da due presupposti. In primis, che non tutti i popoli sono uguali. L’Idea che ogni nazione oppure ogni blocco di nazioni abbia il diritto di determinarsi in totale autonomia senza alcuna direttrice superiore non può corrispondere a verità, in quanto non spiega qual è la finalità di ogni comunità umana.
L’autodeterminazione non è un diritto
Se per diritto divino e naturale, la specie umana che è unica, si divide in più razze ed etnie è perché evidentemente ciascuna di esse, in modo differente, concorre al fine dell’intera umanità. Ma, laddove esiste il molteplice differenziato che all’uno tende, evidentemente i rapporti non possono esser egualitari, ma devono necessariamente essere gerarchici, per cui vi sono stirpi destinate a guidare l’umanità e a dominare il mondo e stirpi destinate ad esser guidate. Qualcuno potrebbe obiettare che tali asserzioni sono in contrasto con il dogma antiamericano. In fondo non è ciò che già fanno gli USA? Sul punto occorre esser estremamente chiari. Il dominio degli USA è ingiusto, non perché sia ingiusto il concetto in sé, ma perché il modo in cui viene esercitato è perverso. Laddove il mondo sia concepito come un insieme di terre da conquistare per renderle il parco dell’economia finanziaria e laddove i popoli vengano assoggettati all’omologazione ad esser perseguito è l’esatto opposto del fine dell’unità gerarchica, differenziata e spirituale. A ciò si aggiunga che sotto ogni punto di vista non sono gli USA né altre potenze che possono richiamarsi ad una tradizione imperiale legittima. Come ci insegnano Dante, Polibio, Livio e altri grandi riferimenti del passato è Roma ad essersi guadagnata il titolo di guida del mondo, proprio perché, differentemente da quanto fanno i detentori degli imperialismi attuali, ha spesso sacrificato se stessa per garantire la pax universale, per riportare sulla Terra la perfezione divina.
Attitudine al comando
Quando l’impero romano d’Occidente cadde, dimostrarono le stirpi germaniche di essere all’altezza del compito che un tempo fu di Roma, incarnando appieno l’universalità romana e dando prova di caratteristiche spirituali e razziali assolutamente simili. Alla luce poi delle scoperte moderne sugli indoeuropei, possiamo constatare che ciò che Roma rappresentò per il mondo e per tutta l’Europa fu un archetipo ancor più ancestrale, ovvero quello di una stirpe nordica e aria che nell’Europa vide la terra migliore per poter assecondare il volere divino. E, come ci ricorda Aristotele, è degli uomini europei l’attitudine a comandare e a vivere da uomini liberi. È degli uomini europei l’attitudine a costruire la polis. Alla luce di quanto fin qui esposto ne consegue che l’Europa debba combattere gli imperialismi a lei nemici, ma non in virtù di un terzomondismo pezzente che tanto è gradito ai marxisti, ma in virtù dell’idea imperiale celeste da cui originariamente è nata. Da tale esposizione, il fatto che non può l’Europa non essere unita dovrebbe esser chiaro a chiunque.
La lezione di Aristotele
Tuttavia per renderlo ancora più evidente, partiamo da quelle che sono alcune testimonianze dei più grandi uomini europei che hanno forgiato la nostra filosofia più alta. Uno di questi è Aristotele, il quale abbiamo prima citato per spiegare che egli vedeva nell’Europa una maggiore libertà che nell’Asia. Più precisamente egli fa un’ulteriore analisi sulle caratteristiche dei popoli, collegandole al clima e dividendo in tre tronconi le popolazioni, quelle dell’Europa mediterranea, in tal caso i popoli dell’Ellade, quelle del nord Europa e quelle asiatiche. Più precisamente:
“Infatti i popoli nei paesi freddi dell’Europa hanno esuberanza d’impulsività, ma sono difettosi d’intelligenza e di attitudini all’organizzazione. Perciò vivono costantemente nell’indipendenza ma difettano d’una vera struttura di governo e non sono in grado di dominare sui vicini. I popoli asiatici d’altra parte sono intelligenti e industri, ma moralmente fiacchi, perciò vivono abitualmente in sudditanza e Servitù. La stirpe ellenica, invece, collocata in una regione media tra questi per posizione geografica, partecipa del carattere degli uni e degli altri, essendo coraggiosa e intelligente; perciò vive continuamente in libertà, con governi possibilmente perfetti, con la capacità di dominare su tutti, qualora fosse riunita in un solo stato”
Dalla lettura di queste parole possiamo affermare quanto segue: Aristotele descrive un quadro che all’epoca era assolutamente accurato. Effettivamente le stirpi dell’Europa mediterranea all’epoca rappresentavano la giusta via di mezzo tra le popolazioni nordiche e quelle asiatiche. Inoltre questo testo squalifica, al di là di ogni dubbio, tutte le teorie moderne che mirano allo sradicamento dei popoli. In effetti, se è vero che il clima, proprio come il sangue e lo spirito, influenza molto le attitudini di un popolo, non si può non pensare che determinate genti all’origine si siano stanziate proprio in quelle terre da cui fisicamente e metafisicamente si sentivano logicamente attratte. Fatta quindi la prima considerazione che ci aiuta a capire perché sangue e suolo costituiscano un sinolo indissolubile, veniamo ad un altro problema: l’idea di una latitudine media è ancor prima che qualcosa di fisico, qualcosa di altamente simbolico. In effetti il mezzo significa il centro, ovvero l’organicità che tutto ordina e che su tutto domina. Il tutto che prevale sulla parte, diversamente, ogni estremo latitudinale è simbolicamente espressione di qualche mancanza. Oggi, che il mondo si divide in Occidente e in Oriente, e l’Europa è la grande assente, ciò è dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio. Gli estremi nell’orizzontalità tutto si contendono, quando invece il centro nel cosmo rappresenta la verticalità. Evidenziato ciò che nel testo di Aristotele quindi, offre magistralmente chiarimenti a tante grandi questioni, dobbiamo anche evidenziarne alcuni limiti di fondo, in quanto, se non vengono ben compresi, possono dar adito a certe personalità interessate a far credere quindi che un’unità europea risulta impossibile. Ad un’interpretazione semplicistica di tale testo sembrerebbe che la civiltà sia un prodotto esclusivamente mediterraneo e che, magari, quindi, interesse delle nazioni europee, forse è percepirsi come affini al mondo afro-mediterraneo. Veniamo al dunque: le parole di Aristotele coincidono perfettamente con quanto asseriva Julius Evola sul mondo germanico antico. Secondo Evola, dopo la diaspora indoeuropea, la vera sapienza e il vero intelletto di quella stirpe aria era maggiormente ravvisabile nelle popolazioni europee mediterranee rispetto a quelle germaniche, e la causa di ciò era proprio il clima. Gli indoeuropei che per ultimi abbandonarono le sedi originarie, a causa di condizioni climatiche sfavorevoli, avevano avuto la possibilità di sviluppare al meno le proprie capacità intellettive e spirituali, quindi erano decadute. Di conseguenza le considerazioni di Aristotele, contenenti dei punti deboli, non dipendono da una mancanza di ingegno, bensì da due cause principali; in primis dal fatto che alla sua epoca tante cose ancora non erano avvenute. Quanto, ad esempio, il filosofo di Stagira asserisce sugli elleni è vero solo in parte.
Auctoritas e Imperium
Le stirpi dell’Ellade dimostrano grandi capacità organizzative ma nella polis, grande e civile istituzione, di per sé incompleta. E infatti il loro unirsi in unico stato non si è mai verificato, se non sotto l’autorità di Alessandro Magno, fase però molto breve. Saranno i romani secoli dopo che andranno oltre la polis, stabilendo l’imperium su tutta l’Europa, sull’Asia e sull’Africa. Quindi, i greci erano si liberi, differentemente dagli asiatici ed erano dotati di un certo intelletto che superava all’epoca le popolazioni nordiche, ma, allo stesso modo, erano decisamente in difetto quanto ad auctoritas ed imperium, che furono invece le caratteristiche centrali della razza di Roma. In secondo luogo Aristotele era inconsapevole, come tutti all’epoca, del fatto che in realtà l’origine più ancestrale delle stirpi dell’Ellade e delle popolazioni germaniche era la medesima, con la logica conseguenza che la vera spiritualità e conoscenza da Nord proveniva. I germani potevano essere inferiori ai popoli Ario-mediterranei ai tempi della Grecia classica, di Augusto e dell’imperialità assoluta di Roma, ma, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente dimostrano di essere degni eredi dello spirito di Roma, capaci, dai tempi di Carlo Magno in poi, di avere le stesse attitudini filosofiche e artistiche greche, la stessa capacità imperiale e organizzativa romana, nonché il medesimo coraggio e le stesse virtù morali che già Aristotele e Tacito attribuivano loro molto tempo prima, come detto all’inizio di questa esposizione. Da ciò cosa ne deduciamo? Da una parte che il simbolismo metafisico, oltre al centro, sta anche al Nord. Dalla parte della terra che va verso Nord si tende al cielo, quindi alla solarità iperborea e apollinea. Diversamente, le popolazioni che tendono maggiormente al sud, saranno quindi per forza di cose notoriamente più dedite al servilismo, alla materia e alla telluricità. Ciò spiega perché le etnie più asiatiche, come detto da Aristotele, sono si dedite al lavoro e all’intelligenza declinata in industria, ma non all’etica, cosa che tra l’altro viene anche confermata nel volume di Adriano Romualdi “Indoeuropei origini e migrazioni”. Ugualmente questa è anche la ragione che spiega il perché non tutte le stirpi mediterranee abbiano raggiunto i livelli dei romani e dei greci e alla profonda differenza che intercorre tra i mediterranei del nord Africa e quelli dell’Europa. Evidentemente nei greci e nei romani vi era uno spirito e una discendenza che da Nord veniva e che la componente mediterranea la usò come materia prima da rettificare, non come componente dominante. Basti pensare a divinità come Apollo, portato dai Dori, stirpe del Nord, alla società virile e tripartita, non certo lascito delle popolazioni mediterranee.
La Pax romana
Per concludere, constatiamo che se le stirpi europee dopo la diaspora indoeuropea hanno conservato ciascuna una caratteristica del ceppo originario, perdendo le altre, nel loro insieme queste sono: libertà, intelligenza, autorità e coraggio. Dove queste son declinate nell’unità dell’Europa, la nostra razza è destinata a dominare, a prosperare e a garantire la pace universale, la celebre pax romana, dove vi sia invece disgregazione e incapacità di sintetizzare tornando all’unità originale, a dominare saranno popoli servili. Il grande monito, quindi, di Drieu la Rochelle, che nel Fascismo vide l’occasione per giungere al traguardo di un’Europa che non abbiamo mai visto, deve essere l’obiettivo di tutti i giovani europei che volontà di sognare, di combattere non l’hanno perduta. Chiunque con dinamicità si adoperi in nome di sacre parole quali identità, sangue, suolo e spirito all’Europa deve ambire. E questo è il più grande lascito che si può donare a chi verrà dopo di noi. Questa deve essere l’Europa dei nostri figli. A quanti poi, in virtù di una visione ciclica della storia, che, fra l’altro, il sottoscritto condivide appieno, ritenessero la prospettiva qui esposta decisamente molto ottimista, riteniamo conveniente fornire alcuni orientamenti. Ciò che qui è stato spiegato non si tratta di qualcosa di semplice. Siamo ben consapevoli che oggi in Europa, ma in generale in tutto il mondo, si stia affrontando una delle maggiori crisi mai vissute, propria della fase terminale del kali yuga, ma questo non deve necessariamente coincidere con la fine di tutto. L’era più oscura è logicamente la più lontana dalla luminosità originaria, ma è anche quella nella quale vien preparato il terreno che servirà alla rinascita. Concepire la storia ciclicamente significa aver presente l’eternità del tutto, che non permette che vi sia una fine o un inizio. Ergo, quanto più il destino degli europei sembra inesorabilmente destinato a sconfinare nel baratro, tanto più dobbiamo pensare che contestualmente ci avviciniamo nuovamente alle stelle.
Libertà, coraggio, intelletto
Inoltre, se parliamo di decadenza, non dobbiamo pensare a semplici segmenti di una storia a noi molto gradita, quali l’epoca medievale o greco-romana, bensì dobbiamo ricordarci della stirpe che ad un certo ciclo diede inizio, quella indoeuropea. La divisione di quella stirpe originaria fu una decadenza e fu anche uno dei principali ostacoli alla realizzazione di un’Europa veramente unita, che superasse lo schema di una nazione che sulle altre dovesse prevalere. Tutto ciò tra gli Indoarii era logicamente assente. Stando così le cose l’avvicinarsi al fine dell’Europa nazione non significa inseguire un’utopia, significa bensì avvicinarsi a qualcosa di mai visto, ma non perché non accaduta, bensì perché figlia di un archetipo divino, talmente sovrumano e spirituale, che il nostro intelletto non può veramente ricordare. E in un tale contesto di buio le scoperte di Dumezil, da cui possiamo trarre in modo razionale un’idea su quale fosse l’essenza della nostra stirpe originaria, sembrano avere una valenza provvidenziale, affinché chi è disposto a combattere ricordi che anche dove le tenebre riescano a soffocare ogni minimo bagliore di luce, gli uomini che appieno incarnano i valori europei di libertà, coraggio, intelletto e ordine sapranno orientarsi nel buio, scorgendo anche il più piccolo segno di sacralità immortale.
Ferdinando Viola