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L’insostenibile bellezza di Acca Larenzia

by Valerio Savioli
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Acca Larenzia mito

Roma, 14 gen – Sì, certo, le accuse di apologia di Fascismo, i richiami alle sentenze, il Fascismo eterno, il suo ritorno, il suo pericolo, il suo spettro e così via. Il circo mediatico progressista è tutto una canea di urli e urletti, indignazioni e smorfie di cera che sfidano i lifting. Ieri, oggi, domani, il registro pare essere sempre lo stesso ma in occasione di quanto accaduto per la commemorazione di Acca Larenzia c’è qualcos’altro.

Acca Larenzia è la profondità che il progressismo non potrà mai avere

È noto il detto “un’immagine vale più di mille parole” e da giorni un’immagine è impressa nella mente di tutti coloro che non vivono su Marte: l’istantanea di Acca Larenzia, il raccoglimento, il saluto ai caduti. Cosa si cela, dunque, dietro la levata di scudi progressista? Pensateci bene, in quella commemorazione commossa va puntualmente in scena tutto quello che li nega.

La solennità di chi ricorda, concretizzando il significato di questa parola, ossia riportare al cuore, non può che risultare inaccettabile in coloro che hanno come unico obiettivo l’irrefrenabile impulso della cancellazione. L’imperitura fedeltà rispetto a un richiamo radicale che identifica è irricevibile per chi persegue la fluidità della società liquida, per chi si adopera alacremente a smontare civiltà millenarie e destrutturare tradizioni eterne, per chi ha ucciso i padri e le Patrie, per chi continua a occhieggiare, dal bordo dorato di un’isola privata, al sacrificio dell’innocenza dell’uomo.

Rito, onore, mito, bellezza

L’irrinunciabilità di ciò che saldamente si è non può essere compresa da chi vuole spiritualmente negare. Della chiamata interiore del dover-essere si può solo esser consapevoli, la risposta di ognuno decreterà il senso ultimo di questa esistenza.

Ristabilire e puntellare l’onore della memoria richiamando al presente, per tre volte, per tre urli, scuote il profondo turbando ogni categoria d’inconsistenza propagandata dall’infinito assortimento di tutti quei (dis)valori perennemente in saldo, perché l’impegno a non tradire la parola data alla sorte è un patto con quell’onore che altro non è che l’ultima vera parola-destino da cancellare. La compostezza siderale della commemorazione è incorniciata da un testimone discreto: il silenzio. Presente negli interstizi dell’urlo al cielo, presente nell’ordine marziale dei corpi, presente oltre questo, maledetto, tempo.

Il viatico inciso sulla carne viva di quelle immagini gridanti traccia un solco invalicabile, deflagra fiera bellezza, il cui richiamo è inconfessabilmente irresistibile per ogni essere vivente degno di tal nome e, al tempo stesso, non può che scaturire negli antri degli abietti la rabbia cieca e sbavante della frustrazione omicida, accompagnata da quella servile dei vili, la cui ignavia putrefazione non sarà nemmeno degna della putrescenza fluida sognata dai loro padroni.

Valerio Savioli

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