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Lo scontro navale di Matapan: una tragedia inevitabile?

by Paolo Mauri
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Matapan

R.N. “Pola”, incrociatore pesante classe Zara.

Roma, 29 mar – Capo Matapan è un promontorio del Peloponneso che si protende nel mar Ionio. Sarebbe conosciuto solo per essere una meta turistica se una notte di 75 anni fa non avvenne uno scontro navale tra la flotta italiana e quella inglese che ebbe risvolti drammatici in termini di perdite umane e di mezzi per la Regia Marina.

Nella notte tra il 28 e il 29 marzo del 1941 tre incrociatori (Zara, Fiume, Pola) e due cacciatorpediniere (Alfieri e Carducci) andarono a picco sotto i colpi dei grossi calibri delle corazzate inglesi (Warspite, Barham, Valiant): 2331 morti. Molto si è scritto e ancora di più discusso su quella notte, e una certa storiografia ha contribuito a propugnare la tesi che quella tragedia fosse stata colpa dei “traditori” all’interno della Regia Marina. Tesi supportata dal fatto che alcuni ammiragli e alti ufficiali italiani spesso e volentieri erano in rapporti di conoscenza se non di amicizia con i pari grado inglesi. Prima di addentrarci nelle cause di questa disfatta occorre dare un rapido inquadramento storico della situazione bellica sul mare all’inizio del 1941.

6 febbraio 1941. La Forza H di stanza a Gibilterra lasciò il porto per dirigersi verso il Mediterraneo centrale. L’incrociatore da battaglia Renown, la corazzata Malaya e la portaerei Ark Royal con la scorta di un incrociatore e 10 caccia diressero a tutta forza verso le coste italiane, dove arrivarono di sorpresa al mattino del giorno 9 e cannoneggiarono la città di Genova mentre l’Ark Royal lanciò i suoi aerei per minare gli accessi della base navale di La Spezia. La Flotta Italiana fu allertata sin da subito grazie ai nostri servizi di informazioni che tenevano costantemente sotto osservazione la base inglese a Gibilterra, ma l’Ammiraglio Iachino, comandante in capo, non riuscì ad intercettare il nemico: uscito da La Spezia la sera dell’8 con tre corazzate (Vittorio Veneto, Cesare, Doria) e 7 cacciatorpediniere a cui si unirono tre incrociatori pesanti e altri tre caccia da Messina, incrociò a ponente e a sud della Corsica senza riuscire a ricevere notizie dai ricognitori e permettendo così agli inglesi di effettuare il bombardamento marittimo di Genova; solo alle 12:30 del 9 febbraio gli inglesi vennero attaccati da due bombardieri sulla rotta di rientro, senza subire danni. La mancanza di un efficace coordinamento tra Marina e Aviazione aveva determinato il successo dell’operazione inglese.

Tale operazione destò scalpore a Supermarina e nel Governo, ma ancora di più lo destò nell’alleato tedesco: il 13 febbraio l’ammiraglio Raeder incontrò il CSM Riccardi a Merano sollecitando una maggiore attività offensiva della nostra Marina in particolare verso le linee di rifornimento inglesi nel Mediterraneo Orientale (verso Creta e la Grecia). Del resto gli inglesi, forti del loro successo, rafforzarono il fronte greco con l’operazione “Lustre”: l’invio e il rifornimento regolare del corpo di spedizione britannico in Grecia. L’Asse reagì con pesanti incursioni della Luftwaffe ai traffici di “Lustre” e con il famoso attacco dei mezzi d’assalto italiani nella baia di Suda (Creta) che causò la perdita dell’incrociatore pesante York ad opera di barchini esplosivi della X Mas effettuato nella notte tra il 25 e il 26 marzo. Però questo non bastava al comando tedesco e i malumori dell’alleato portarono all’ideazione di un’azione di interdizione dei traffici da effettuare con le navi di linea della Flotta Italiana: stava così nascendo l’azione che portò allo scontro di Gaudo e alla tragedia di Capo Matapan.
L’Ammiraglio Iachino salpò da Napoli all’imbrunire del 26 marzo. La squadra navale era composta da una corazzata (Vittorio Veneto), otto incrociatori (i pesanti Zara, Fiume, Pola, Trieste, Trento, Bolzano e i leggeri Duca degli Abruzzi e Giuseppe Garibaldi) protetti da 14 cacciatorpediniere; l’obiettivo erano i convogli inglesi che Iachino riteneva essere scortati solo da una corazzata e da forze leggere, ma la Mediterranean Fleet era uscita da Alessandria la sera del 27 forte di tre corazzate (Barham, Warspite, Valiant), una portaerei (Formidable) e 9 caccia mentre un’altra forza composta da 4 incrociatori pesanti e 4 caccia aveva lasciato il porto del Pireo. L’Ammiraglio Cunnigham regolò i tempi in modo che i suoi incrociatori agganciassero la Flotta Italiana al largo dell’isolotto di Gaudo, nei pressi di Creta, col compito di ingaggiare il nemico e di trattenerlo fino all’arrivo del grosso della flotta partita da Alessandria. Cosa che regolarmente avvenne quando alle 06:35 del 28 Iachino entrò in contatto con gli incrociatori inglesi e cominciò un inseguimento durato quasi tre ore in direzione sud, senza però riuscire a mettere a segno nessun colpo sulla squadra inglese che stava attirando quella italiana in quella che fu una vera e propria imboscata. Alle 08:55 Iachino, insospettito dalla condotta inglese, ordinò di invertire la rotta e la squadra navale italiana accostando a un tempo diresse per nord-ovest inseguita a distanza dagli incrociatori inglesi; nel frattempo si era fatta viva l’aviazione britannica con gli aerei imbarcati della Formidable che fu a sua volta attaccata da due siluranti italiani ma senza esito. I velivoli inglesi ottennero però un inaspettato successo quando riuscirono a colpire a poppa la Vittorio Veneto che dovette procedere per tutto il resto dellla giornata a velocità ridotta, dando così tempo alle vecchie e più lente corazzate inglesi di farsi sotto: questo era infatti il compito che Cunningham aveva dato agli aerei della Formidable, altrimenti non sarebbe mai riuscito ad essere a tiro della più veloce e moderna flotta italiana.

La sera stessa, alle 19:50, un altro attacco di aerosiluranti inglesi  Swordfish riuscì ad immobilizzare l’incrociatore Pola che venne lasciato indietro andando alla deriva. In questo momento la flotta inglese era a meno di 50 miglia da quella italiana. Alle 21:06 Iachino ordinò al comandante dalla 1° Divisione incrociatori pesanti, Cattaneo, di far rotta verso levante con i suoi Zara, Fiume e 4 caccia per soccorrere il Pola rimasto in panne. Questo fu l’ordine che mandò al patibolo l’intera Divisione incrociatori italiana, ma Iachino non poteva sapere quanto stava succedendo in quanto, ancora una volta, le notizie che gli arrivavano sulla posizione e sulla composizione della flotta nemica erano frammentarie e quasi sempre con forti ritardi e contraddittorie.

Nell’oscurità di una serata di marzo, alle 21:35, la Divisione di Cattaneo fu rilevata sugli schermi radar della Mediterranean Fleet al completo: i nostri incrociatori, ignari della presenza del nemico, avanzavano imprudentemente con i caccia di poppa anziché di avanguardia e con le artiglierie in posizione di quiete, mentre le corazzate inglesi si disponevano nella posizione di tiro più efficace sfruttando la possibilità di vedere le navi italiane tramite il radar, di cui la nostra flotta era sprovvisto. Alle 22:27 cominciò il fuoco inglese, preciso e spesso ad alzo zero data la vicinanza tra le due formazioni, e la battaglia, se così possiamo definirla, si concluse con un vero e proprio olocausto sul mare: Zara, Fiume e due caccia torpediniere erano ridotti a relitti galleggianti e in fiamme che affondarono rapidamente, il Pola, ancora in avaria, fu prima abbordato e poi affondato coi siluri temendo la presenza di sommergibili italiani in zona.

Si concludeva così la pagina più nera della nostra marineria, ancor più nera forse della famigerata “notte di Taranto”, e tanto più tragica per gli strascichi che lasciò nel dopoguerra, strascichi che ancora oggi fanno sentire la loro eco. La Marina fu infatti accusata di tradimento per quanto avvenne, appunto per le supposte connivenze tra ufficiali inglesi e italiani anche alla luce del fatto che la Regia era la più monarchica tra tutte le Forze Armate, ma oggi possiamo affermare che queste accuse furono ingiuste e gratuite: gli inglesi erano riusciti a decrittare tutte le nostre comunicazioni grazie al loro sistema di decodifica di nome Ultra, pertanto qualsiasi movimento della nostra flotta veniva immediatamente conosciuto dalla Mediterannean Fleet che poteva reagire di conseguenza ancora prima che le nostre navi fossero in mare. Oggettivamente esistono delle colpe per Matapan che sono sia strutturali che contingenti: la Regia Marina non era addestrata per lo scontro notturno, direttiva dei comandanti delle grosse unità era di rompere il contatto e di lasciare il naviglio sottile a sbrigarsela con azioni di disturbo, pertanto, oltre a mancare le cariche antivampa per le nostre artiglierie navali, non veniva nemmeno preso in considerazione l’utilizzo del radar, che nonostante fosse una tecnologia a noi nota, fu installato per la prima volta sul caccia Legionario solamente nel giugno del 1942 (un apparecchio De.Te tedesco) e su altri tre caccia nel novembre dello stesso anno (un Ec3/ter “Gufo” italiano). Pesò anche la solita mancanza di coordinamento tra Aeronautica e Marina, attraverso il lungo e macchinoso sistema di comunicazioni centralizzato, e possiamo dire con certezza che nemmeno la presenza di una portaerei, col senno del poi, avrebbe potuto cambiare le sorti della battaglia, perché occorre sapere usare lo strumento aeronavale e quindi avere una dottrina di impiego ben precisa, che sarebbe comunque mancata alla Regia Marina dato che non è possibile ottenerla in pochi mesi ma servono anni di sviluppo, come ebbero modo di fare le marine di altre nazioni (Giappone, Stati Uniti e Inghilterra).

Una causa contingente e sicuramente molto più grave fu la volontà di Iachino e dello Stato Maggiore della Marina di piegarsi alle pretese dell’alleato tedesco, meno esperto e più supponente in termini di guerra ai traffici nel Mediterraneo, per cercare di fare qualcosa come reazione alla situazione in Africa del Nord e per levare quell’accusa di pavidità mossa alla nostra Marina. Nacque così un’operazione affrettata e basata su errori dottrinali frutto dell’incoerenza con la strategia che Supermarina stava applicando sino a quel momento nel Mediterraneo che invece aveva avuto risultati soddisfacenti per le reali possibilità italiane, sempre alle prese con le perenni carenze di materiali e carburante.

Pertanto Matapan avrebbe potuto essere evitata solo se non si fosse dato retta al Comando Tedesco che spingeva per un tipo di guerra di “corsa” sul modello di quella condotta in Atlantico nei primi mesi del secondo conflitto mondiale ma che nel Mediterraneo, e in altri bacini ristretti, non ha ragione di essere attuata con le modalità attuate dalla Kriegsmarine, in quanto la lotta al traffico mercantile, traffico che non era intenso da parte inglese come quello italiano, può essere condotta con minori rischi grazie a una presenza costante di naviglio sottile in determinate zone di agguato; viceversa l’invio di grosse unità di superficie in un’area dove si presume transitino convogli con la speranza di entrare in contatto con le artiglierie è un vero e proprio azzardo soprattutto in assenza di una copertura aerea continua, come dimostrato dall’esito degli scontri di Gaudo/Matapan.

Paolo Mauri

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4 comments

Cesare 30 Marzo 2016 - 11:26

Sulla marina l’Italia aveva speso somme enormi per il suo riammodernamento, ma servi a poco .Ho letto che già 2 mesi prima del tradimento del 8 Settembre alcuni ammiragli avevano già preso accordi col nemico tant’è che non fu sparato un colpo nè verso di noi nè verso il nemico per ben due mesi prima del 8 Settembre!! E la cosa piu’ vergognosa fu che Badoglio e gli altri traditori consegnarono l’intera flotta agli inglesi a Malta, flotta che fu usata contro quello che era rimasto dell’ ‘asse la corrazata Roma fu addirittura regalata a Stalin sebbene non faceva parte degli accordi di resa e fu tenuto segreto inizialmente. Molti marinai italiani sapendo di arrendersi senza combattere furono presi da grandissimo sconforto e alcuni pensarono anche di non consegnare le navi ma dovettero desistere

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Paolo 31 Marzo 2016 - 8:15

Salve Sig. Mauri,

Colgo con piacere l’ occasione di un confronto molto interessante, sul fatto storico da Lei riportato e commentato nel presente articolo.

Vedo che nel corso della sua esposizione, Lei non manca di porre l’ indice sulla co-responsabilità che l’ alleato Tedesco ebbe, nel favorire questa sconfitta militare.

Personalmente, sono di diverso avviso, e qui di seguito le illustrerò come la vedo :

1- Innanzi tutto, occorre considerare che l’ Italia era in guerra, ed alleata con la Germania.
Ovviamente qui non si può esprimere un giudizio morale sulla liceità o meno di tale scelta.
Da un punto di vista prettamente militare (ovvero, quello che avrebbe dovuto essere proprio degli Ammiragli Riccardi e Iachino, e di Supermarina al completo) si era in guerra contro l’ Inghilterra, e dunque contro tali nemici occorreva muoversi e combattare, al meglio delle nostre possibilità.

2- E’ indubbiamente vero che la Germania premeva affinchè la Regia Marina “si muovesse” nell’ ambito dello scacchiere Mediterraneo, ma bisogna altresì riconoscere che queste pressioni da parte dell’ alleato, incominciarono a divenire tali nel momento in cui i Tedeschi si accorsero che i nostri Ammiragli intendevano, sostanzialmente, restarsene con le mani in mano, cercando di mantenere la flotta come “deterrente” ed impiegandola il meno possibile.
Bisogna inoltre osservare che da parte della Germania, fu messo a disposizione della Regia Marina il cosiddetto “X C.A.T.”, il Corpo Aereo Tedesco, il quale materialmente si incaricò di disimpegnare compiti che la Regia Areonautica o non seppe, o non volle disbrigare. In particolare – ed anche nelle giornate appena antecedenti i fatti di Matapan – da parte del X CAT pervennero preziosissime informazioni sulla consistenza e sulla dislocazione della frazione pesante della “Mediterran Fleet”, informazioni che, se fossero state correttamente interpretate ed utilizzate da Riccardi e da Iachino, avrebbero potuto contribuire a dare un corso completamente diverso alla battaglia che stava per verificarsi. Invece, non se ne fece nulla.

3- Occorre infine considerare che, nel corso dell’azione, anche l’ Ammiraglio Cunningam commise più di un’ errore di valutazione, e fu complessivamente servito piuttosto male dalla propria ricognizione. Bisogna assolutamente sfatare il mito – alla cui creazione, l’ Ammiraglio Iachino ha molto contribuito con i suoi memoriali, al preciso scopo di cammuffare le sue precise responsabilità – di una “speciale trappola” tesaci dagli Inglesi, e nella quale le nostre forze non poterono assolutamente evitare di cadere.

La verità, è che lo scontro di Matapan si svolse a fasi alterne, ed ebbe andamento complessivamente altalenante, almeno sino a quando gli aerosiluranti “Swordfish” non riuscirono, parte per perizia e parte per fortuna, ad azzoppare la nostra “Vittorio Veneto”, facendo così pendere definitivamente la bilancia delle forze a favore della Mediterran Fleet.
Occorre anche precisare che la scelta di Iachino, di inviare una squadra di soccorso per cercare di recupare l’ Incrociatore “Pola” immobilizzato in acque pericolosissime, fu un vero e proprio gesto irresponsabile, e che al pari di molti altri indizi testimonia come il nostro Ammiraglio (così come il nostro comando) mantenne complessivamente una valutazione assolutamente errata, sia della reale forza del nemico, sia sulla sua effettiva dislocazione in mare aperto.

La verità, ed anche la radice autentica di questa nostra sconfitta (così come quella del “colpo” di Taranto) risiede non nelle pressioni tedesche e nel nostro inappropriato o meno impiego delle forze della Regia Marina, ma nella mancanza totale, assoluta, del benchè minimo piano operativo.

Eravamo in guerra contro gli Inglesi. E dunque? Dove erano i piani? Che cosa si era deciso di fare? Si confrontino la fredda determinazione con cui gli Inglesi provvidero immediatamente a colpirci, per poter tenere libere le loro rotte mediterranee, la nostra inazione, la nostra inerzia, la nostra volontà (in negativo) di evitare lo scontro, ed impegnarci il meno possibile.

Avevamo in mediterraneo, in quel 1940, possibilità strategiche immense, che ci avrebbero permesso di chiudere ermeticamente il “Mare Nostrum” come se fosse un lago interno.
E gli Inglesi lo sapevano, tanto è vero che – prestandoci, almeno inizialmente la loro audacia, la loro determinazione, e la loro lucida capacità di fare la guerra sul serio con visione strategica impeccabile – diedero per scontata l’ occupazione di Malta, e furono ad un passo dal fare uscire la Mediterran Fleet dal Mediterrano, accontentandosi di mantenere il bastione di Gibilterra, ed abbandonando al suo destino il Canale di Suez.
Ma poichè – a quell’ epoca – gli Inglesi erano davvero maestri di strategia e di psicologica, compresero in fretta che la Regia Marina “non aveva molta voglia di combattere”, e che l’ uscita dal Mediterraneo della loro squadra sarebbe stata come minimo prematura. Nemmeno Malta riuscimmo a prendere. Con quali risultati lo sappiamo, se consideriamo che proprio dalla costa africana partì quello “Sbarco in Sicilia” che permise agli alleati di approdare sul nostro suolo, facendo oltretutto crollare l’ Italia (in senso militare) come una pera matura (anzi, marcia).

Sia chiaro, Sig. Mauri, che il mio atteggiamento non vuole assolutamente essere quello del tipico italiano “disfattista” che pensa male di qualsiasi cosa riguardi il nostro paese.
Al contrario – e penso, come lei – io ritengo che il nostro paese abbia avuto, e possieda ancora delle potenzialità notevoli, che però puntualmente spreca.

Il perchè di questo spreco è un discorso ancora più lungo, ed a mio avviso ha radici soprattutto culturali.
Basta guardare, appunto, gli eventi storici : dalla “Crociera del giusto mezzo” antecedente la sconfitta di Lissa (1866), alle umiliazioni (senza contropartita alcuna) di Taranto e di Matapan del 1940, all’ inerzia incerta con cui ancora oggi, nicchiamo su una questione importantissima come l’ intervento in Libia. Siamo così malmessi (e così ignavi) da non riuscire a mandare neppure un migliaio di uomini.

E’ da qui, che dobbiamo cominciare a cambiare. A crescere.

La ringrazio per l’attenzione, spero di non essere stato troppo prolisso ed averLa involontariamente annoiata.

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Ubaldo Croce 1 Marzo 2017 - 4:09

Non si può assolutamente essere d’accordo quando in questo articolo si afferma (non se ingenuamente o in grave malafede)che la battaglia di Gaudo e Matapan fu vinta degli inglesi perché avevano la macchina decodificatrice “Ultra”.É una sciocchezza assoluta. La realtà fu che gli inglesi sapevano da fonte italiana dei piani della nostra flotta.Non solo.Addirittura, Supermarina mandò in etere (e in chiaro)dei radiomessaggi ben consapevole che gli inglesi li avrebbero intercettati e quindi risaliti alle coordinate in cui si trovava la nostra flotta. Ci SONO i documenti che lo provano.E ce ne sarebbe da dire.Sarei ben e disposizione per chi volesse contattarmi e provare ciò che dico. Cordialità.
Ubaldo Croce.

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Stefano Gallo 7 Ottobre 2020 - 8:54

Sig. Mauri….certo la colpa è dei tedeschi….le nostre navi ineccepibili esteticamente erano di cartapesta, è bastato un siluro per fare quasi affondare il Vittorio Veneto, la Roma è stata affondata da una sola bomba; ed era la massima “espressione” della tecnologia bellica italiana (se avesse ricevuto solo un terzo dei colpi incassati dalla Bismarck, sarebbe colata a picco in 5 minuti).
Per quanto riguarda la classe dirigente militare italiana bisognava fare come Stalin…il resto lo si mandava a studiare in Germania a imparare come si fa la guerra.
Per quanto riguarda Matapan il sig. Iachino alla fine di quei giorni non poteva non sapere di avere la flotta inglese alle calcagna……………………………

Rimase comandante della flotta!!!!!!
Tralasciamo l’esercito, l’aviazione ecc.
Basta leggersi i giudizi di Rommel….

In definitiva…la Germania alleato peggiore dell’Italia non poteva avere….

PS. Sig. Mauri si legga le vicissitudini del convoglio Duisburg.

Cordiali saluti.

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