Roma, 19 lug – Quanto scriviamo è complesso da recepire, dal momento che il ragionamento si orienta troppo spesso sul classico “bianco o nero”. “Giorgia Meloni ha trattato e flitrato con la Von der Leyen prima di non votarla”, si dice. “Meloni ha rimediato un pugno di mosche”, si dice. “Non è cambiato nulla” (cosa indubbia) è la conclusione generale. Le dinamiche sono un po’ più interessanti e dimostrano, da un lato, l’arretratezza del nostro Paese sulla scena europea ma dall’altro, quanto meno, l’avvio di un approccio che sentivamo troppo lontano: quello delle richieste di contropartite.
Meloni e Von der Leyen, dal flirt alla rottura
Giorgia Meloni ci ha provato, e non può essere giudicata esclusivamente sotto il profilo del risultato. Perché veniamo da anni in cui a provarci non è stato nessuno, quindi questo ragionamento vuole essere costruttivo verso un presidente del Consiglio con cui siamo stati molto critici, speranzosi e talvolta perfino di supporto. Banalmente, abbiamo sempre osservato senza pregiudizi l’operato del governo, venendo quasi sempre delusi ma traendo degli spunti che non vogliamo rifiutare per partito preso. Meloni ha fatto benissimo a votare contro Ursula, sebbene non fosse rimasta altra scelta. Ma non era così scontato: si sarebbe sempre potuta gestire la situazione “alla piddina”, per capirci meglio, magari aggregandosi, vantando “concordia” e rimediando una figuraccia ben peggiore.
Qualcuno l’ha chiamata “svendita non accettata” perché mancava l’offerta giusta. Chi scrive pensa che l’Unione europea sia un sistema fallimentare e tirannico il cui unico destino storico utile sia quello dell’estinzione. Ma dal momento che c’è, esiste, che purtroppo rovina le nostre vite, e che nessuno abbia il coraggio di avviare una politica fermamente anti-europeista, è sacrosanto quanto meno cercare di “giocare sul campo di battaglia”. Cosa che il presidente del Consiglio ha fatto: provando a chiedere garanzie sulle nomine in cambio del suo voto ma, purtroppo, non rimediando ciò che voleva. A quel punto la votazione non conforme è stata la naturale conseguenza.
A perderci è l’Italia
Tralasciando tutte le sciocchezze sull’ “isolamento” della Meloni, tirate fuori dalla stampa mainstream ogni qualvolta ci sia, per sbaglio, un allontanamento del governo di turno da qualsiasi diktat o agenda precostituita in sede europea o statunitense, è chiaro che l’Italia esca perdente dal confronto, sebbene se non altro “mentalmente mobile”. Insomma, il Paese dalla classe dirigente ignava e immobile dà qualche segnale di vita. Pochissimo, senza dubbio. Soprattutto, è la seconda sconfitta dopo quella del nuovo Patto di stabilità di mesi fa. La critica più grossa da muovere al governo è il suo scarso coraggio in termini di scelta delle alleanze, ma questo è un tema che meriterebbe un approfondimento a parte. L’Italia di Meloni ha provato a ragionare in Ue come fanno da sempre Francia e Germania, dimostrando la distanza accumulata in decenni di politica amorfa: questo è il vero tema su cui riflettere. Perché ci sono due strade davanti, per chiunque governi questo povero Paese: l’una è considerare l’Unione per il fallimento e la distruzione che rappresenta, l’altra è che – finché essa esisterà – bisognerà combatterci. Che non significa credere allo slogan “cambiare l’Unione europea dall’interno”, ma per lo meno iniziare a comprendere di non poter dire sì a qualsiasi cosa provenga dalle fauci – perché questo sono – di Bruxelles.
Stelio Fergola