Roma, 2 lug – Mosca continua a insistere sulla narrativa ufficiale dell’“operazione speciale” in Ucraina. Ma dietro le quinte della “denazificazione” si muove una macchina molto più torbida e pericolosa: quella del reclutamento parallelo. Non si tratta solo di propaganda o di manovre tattiche: la Russia sta costruendo, sotto gli occhi del mondo, un esercito irregolare, globale e potenzialmente catastrofico. Un’armata senza volto, composta da migranti forzati, disertori africani, detenuti, mercenari e “volontari” reclutati attraverso un sistema opaco e sistematico.
Mosca e l’arruolamento low cost
Le recenti testimonianze di due cittadini camerunensi, Jean Pafe e Anatole Frank – catturati dagli ucraini nei pressi di Siversk, nel Donbass – hanno scoperchiato un vaso di Pandora. Entrambi erano arrivati in Russia per motivi civili: uno cercava lavoro in una fabbrica, l’altro voleva curarsi i denti. Sono invece finiti al fronte, in divisa russa e con un fucile in mano. Secondo quanto raccontano, sono stati convocati dal servizio immigrazione, trattenuti contro la loro volontà, obbligati a firmare contratti militari e spediti in guerra in cambio di circa 12.000 dollari. Un prezzo alto per chi viene ingannato, ma ridicolo se si considera che si tratta della vita di una persona mandata al macello. I due hanno raccontato di aver combattuto fianco a fianco con uomini provenienti da Bangladesh, Zimbabwe, Cina, e Corea del Nord. In altre parole: la guerra russa si combatte con lavoratori migranti militarizzati, e le trincee si popolano di disperati provenienti da ogni angolo del Sud del mondo.
La conferma: disertori africani verso il Donbass
Una recente inchiesta dell’Institute for Security Studies (ISS Africa) ha confermato un trend ancora più grave: militari camerunensi stanno disertando per combattere in Ucraina al servizio della Russia. Questi uomini, già addestrati, lasciano caserme e incarichi nel loro Paese per raggiungere Mosca attraverso rotte tortuose, passando da Turchia, Emirati Arabi o Serbia. Arrivati in Russia, vengono inseriti in reparti di “contractors” o addestrati da milizie private collegate al Cremlino. La dinamica non è frutto del caso: è la conseguenza diretta di un accordo bilaterale tra Camerun e Russia, firmato nel 2022, che ufficializzava una cooperazione militare tra i due Paesi proprio nei mesi in cui Mosca iniziava la sua invasione su larga scala dell’Ucraina. Il contenuto dell’accordo non è mai stato reso pubblico, ma l’esperienza di altri Paesi africani (come Mali e Centrafrica) suggerisce che, dietro le clausole di “formazione e assistenza tecnica”, si nascondano reti di reclutamento gestite direttamente o indirettamente dal gruppo Wagner e dai suoi eredi.
Il progetto russo: un esercito irregolare e sacrificabile
Il risultato è sotto gli occhi di chi vuole vederlo: la Russia non combatte più solo con soldati russi. Ha costruito un esercito parallelo, una forza ibrida che combina: migranti ingannati o ricattati, arruolati con promesse economiche o sotto minaccia di espulsione; Disertori ed ex militari africani, che portano con sé addestramento, rabbia e fragilità; Detenuti rilasciati in cambio del servizio al fronte, usati come carne da cannone; Mercenari professionisti, reclutati attraverso reti private di contractor collegate al Cremlino. Questa forza – priva di status giuridico, non soggetta a convenzioni internazionali – rappresenta oggi uno degli strumenti più potenti e pericolosi del nuovo imperialismo russo. Mosca ha capito che può fare guerra a basso costo, scaricando le perdite su soggetti marginali e invisibili, spesso provenienti da Paesi che non possono protestare o difendere i propri cittadini.
L’effetto boomerang: destabilizzazione dell’Africa
Il rischio però non si ferma al fronte. Questi combattenti torneranno. Torneranno nei loro Paesi, con esperienza militare, trauma da guerra e contatti internazionali pericolosi. In Africa, dove la situazione è già esplosiva – tra jihadismo, secessionismi e colpi di Stato – il ritorno di questi ex mercenari può diventare una miccia pronta a riaccendere focolai ovunque. In Camerun, per esempio, l’esercito è già impegnato su tre fronti interni. Perdere personale verso il conflitto ucraino significa indebolire la propria sicurezza nazionale, mentre il ritorno di ex combattenti potrebbe alimentare nuove milizie o gruppi armati autonomi. Tutto questo avviene nel silenzio complice dell’Occidente. L’Unione Europea discute di invio di droni e munizioni, ma ignora totalmente che Mosca ha trasformato il conflitto in un laboratorio di guerra globale low cost, fondato sullo sfruttamento della povertà altrui. Questo esercito parallelo – senza volto e senza regole – è anche una minaccia a lungo termine per la sicurezza globale. Oggi combatte nel Donbass, ma domani potrà essere impiegato in operazioni di pressione geopolitica, destabilizzazione regionale o persino come strumento di influenza occulta in Paesi strategici.
Mosca e il nuovo colonialismo militare
Mosca ama presentarsi sulla scena internazionale come la voce dei popoli oppressi, il baluardo contro l’imperialismo occidentale, il difensore del Sud globale contro l’euronazismo. Una retorica ben confezionata, amplificata nei vertici Russia-Africa, nei forum internazionali e nei media filo-russi, dove Putin si propone come l’alternativa “multipolare” all’unilateralismo NATO. Ma dietro quella facciata di solidarietà, si nasconde un modello di sfruttamento brutale, lucido e perfettamente organizzato: la trasformazione di uomini poveri, migranti e disertori, in carne da cannone per una guerra che non è la loro. Quella russa non è una politica di liberazione, ma di utilizzo: un colonialismo 2.0 che oltre alle risorse naturali, estrae forza umana da economie deboli e Stati fragili, per impiegarla nei propri conflitti. La differenza con l’Occidente? Nessuna, se non il linguaggio. Entrambi promettono partnership e uguaglianza, ma poi trattano il Sud globale come bacino da sfruttare, o con le materie prime o con le vite umane. E mentre le cancellerie africane si illudono di rafforzare la propria sovranità appoggiandosi alla Russia, non si accorgono di stare consegnando i propri figli. Mosca non sta sfidando l’ordine coloniale. Lo sta replicando, solo con un’uniforme diversa.
Sergio Filacchioni