Milano, 20 lug – Da ieri pomeriggio ha chiuso per sempre il Mc Donald’s di piazza San Babila a Milano. E fin qui, si potrebbe rispondere: chissenefrega. Se non addirittura: Evviva. Dal momento che i ristoranti della catena americana in città non mancano e, per dirla tutta, non ci stanno nemmeno troppo simpatici. Il locale all’angolo fra corso Europa e largo Toscanini, è però legato a una storia particolare, che piaccia o meno, ha segnato un capitolo del costume milanese, che poi si diffuse in altre realtà metropolitane nazionali: i paninari.
FRA PIAZZA LIBERTY E BURGHY – La tribù urbana prese forma all’inizio degli anni 80 al bar “Il Panino” di Piazzetta Liberty dal quale mutuò il nome, ma si consacrò come fenomeno sociale proprio nel locali di piazza San Babila dove nel 1984 aprì il primo fast food italiano: Burghy. Qui il sabato pomeriggio arrivavano a ritrovarsi anche diverse centinaia di ragazzi. Segni di riconoscimento: il piumino Moncler, le calze a rombi Burlington, gli scarponcini da boscaiolo in cuoio giallo della Timberland, la cintura El Charro, gli occhiali da sole Ray-Ban, le felpe Best Company. Alla base dell’essere paninaro c’era proprio il riconoscersi e quindi ‘distinguersi’. Soprattutto dagli appartenenti alle sottoculture urbane più numerose: i ‘compagni’ chiamati ‘china’ o ’cinesi’, ma anche i ‘dark’ o i ‘punk’, con nessuno dei quali avevano buoni rapporti.
EDONISTI E BORGHESI – L’epopea paninara esplode, vive e muore, nel decennio della ‘Milano da bere’, il luogo che l’ex sindaco socialista di quel periodo, Paolo Pillitteri, ha definito nel suo ultimo libro: “Città dove tutto poteva accadere”. E accadeva. Era la Milano delle modelle, degli eccessi e degli scandali. Ma anche quella dove “l’ascensore sociale” funzionava ancora e ognuno sembrava poter avere un’opportunità in un clima di generale ottimismo nei confronti del futuro. Complice la voglia di dimenticare le tensioni e i lutti del decennio precedente, le strade tornavano a riempirsi di giovani che nutrivano meno interesse verso la politica rispetto ai loro coetanei dei due lustri precedenti. Figli del ceto medio, benestanti, non volevano fare la rivoluzione, ma le vacanze al mare a Forte dei Marmi e Santa Margherita e in montagna a Cortina o Saint Moritz. Avevano l’America come “mito” (sono anche gli anni del cosiddetto edonismo Reganiano) sorbito come il latte con il telefilm “Happy Days” ritrasmesso a nastro dalle reti private di Berlusconi e, guarda caso, ambientato proprio in un fast.
POCA POLITICA – I primi paninari non si interessano di politica, anzi la rifiutano, ne erano in qualche modo l’antitesi. Quasi una reazione dopo gli eccessi vissuti, spesso tragicamente, fino a quegli anni. Eppure per i sociologi quei giovani erano “di destra”. Magari non militanti (anche se in molti, si dice, avessero in tasca la tessera del FdG pur non frequentando mai via Mancini), ma semplici “simpatizzanti”. Persino il fatto che qualcuno si pompasse i muscoli alla palestra Doria era sufficiente per ascriverli di fatto alla galassia neofascista. Del resto ad alcuni “democratici” serve molto: se il 25 aprile non sei in corteo, vuol dire che stai dall’altra parte. Se poi hai come “roccaforte” San Babila, la piazza simbolo dei “duri” di destra degli ’70, il teorema è fatto. Di certo comunque si può dire che i paninari non fossero di sinistra, amavano la bella vita, il divertimento e il disimpegno. Tutto sommato, più che sufficiente per vederli come “nemici”. Antipatia ricambiata e culminata anche in alcuni scontri, dettati più da motivi “territoriali” che non “ideologici”. Si sparava di meno per motivi politici fra l’84 e il 90, ma la città era ancora divisa in zona, strade, locali. Distinzioni che via via andranno sempre più scomparendo, tranne per qualche “nostalgico” come l’Osservatorio democratico, che ancora oggi monitora, (con sempre minore precisione, tra l’altro) i luoghi di ritrovo delle “destre” sotto la Madonnina.
ADDIO IDENTITA’ – Non si sa ancora cosa prederà il posto del Mc Donald’s di piazza San Babila. Vista la zona, centralissima, è facile immaginare sarà il negozio o il locale di qualche grande gruppo internazionale. E magari a frequentarlo ci saranno ancora centinaia di ragazzi. Alla moda, con ogni probabilità, ma senza alcuna identità. Nemmeno quella in versione light dei paninari degli anni ’80. La “tribù” che aveva poco da dire, che pensava solo agli abiti firmati, ma che bene o male a distanza di oltre trent’anni ancora tutti ricordano. Per certi versi, l’America che sognavano i ragazzi del “Panino” è davvero arrivata. Peccato sia quella meno interessante. Quella della società indifferenziata che tutto “pialla” annullando identità e differenze. Per paradosso, una roba che avrebbe mandato in bestia qualsiasi paninaro.
Da ieri pomeriggio ha chiuso per sempre il Mc Donald’s di piazza San Babila a Milano. E fin qui, si potrebbe rispondere: chissenefrega. Se non addirittura: Evviva. Dal momento che i ristoranti della catena americana in città non mancano e, per dirla tutta, non ci stanno nemmeno troppo simpatici. Il locale all’angolo fra corso Europa e largo Toscanini, è però legato a una storia particolare, che piaccia o meno, ha segnato un capitolo del costume milanese, che poi si diffuse in altre realtà metropolitane nazionali: i paninari.
Giancarlo Litta
Paninari addio: chiude il Mc Donald di San Babila
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A Roma è subentrato lo spocchioso Eataly al modesto McDonald’s richiesto di E 22.000 dalla partecipata del comune che gestisce l’immobile di Piazza della Repubblica. Tutto sommato, è un piccolo segno di democrazia che scompare a fronte del potente di turno.
L’Oscar “peppone” di nuovo si impone!