Roma, 9 sett- Prosperità valore dell’Europa. Mario Draghi ha, tanto per cambiare, voglia di scherzare o di prendere un po’ in giro. Ovviamente, con il fare di chi è assolutamente serio. Il discorso pronunciato dall’ex presidente della Bce e del Consiglio italiano, del resto, afferma anche delle cose giuste: peccato che siano incompatibili con l’Ue, con la sua stessa essenza e con le sue prospettive. Probabilmente, da vecchio allievo di Federico Caffè, nonché suo più grande “traditore”, l’ex Supermario (ammesso che lo sia mai stato) deve ogni tanto simulare la sua paternità accademica, cosa che, peraltro, già fece poco dopo lo scoppio della pandemia, sul Financial Times nel 2020, asserendo che era tempo di mettere – gergalmente – mano al portafogli della “spesa pubblica” e cominciare a investire pesantemente. Ha ribadito il tutto nell’ultimo suo rapporto presentato alla Commissione Ue.
“Prosperità un valore dell’Europa”, per Draghi. Ma quando?
La prosperità è uno dei valori dell’Europa, per Mario Draghi. Non a caso, l’ex premier parla con toni generici, almeno da quanto riportato finora. Non può proprio usare l’arconimo “Ue”, almeno nella prima frase: “I valori fondamentali dell’Europa sono prosperità, equità, libertà, pace e democrazia in un ambiente sostenibile”. Poi però si “tradisce” e – sebbene di sbieco – dice che è proprio il famigerato acronimo ciò che lo deve permettere: “L’Ue esiste per garantire che gli europei possano sempre beneficiare di questi diritti fondamentali. Se l’Europa non sarà più in grado di garantirli avrà perso la sua ragione d’essere. L’unico modo per affrontare questa sfida è crescere e diventare più produttivi, preservando i nostri valori di equità e inclusione sociale. L’unico modo per diventare più produttiva è che l’Europa cambi radicalmente”. Lo scrive Mario Draghi nell’introduzione al suo Rapporto. La produttività “è una sfida esistenziale per l’Ue”. Come è possibile inseguire questa “sfida” se il sistema che la dovrebbe affrontare non ha la minima intenzione di usare politiche espansive, tra Patto di Stabilità (vecchio ma soprattutto “nuovo”), debiti continuamente sotto controllo
In ogni caso, la “prosperità valore dell’Europa” come dice Draghi è puramente inventata. Non è mai stato così. Tutti gli Stati membri dell’Ue sono meno potenti economicamente rispetto a trent’anni fa. Germania inclusa, ovvero colei che ne ha guadagnato di più. Se si parla di Europa unita o sedicente tale, è chiaro. Non a caso Marione ci dice che la soluzione è “unirsi di più” sotto il profilo del debito pubblico comune, il che guarda caso significa non dargli lo stesso peso che gli conferisce Maastricht. Le suggestioni unitarie ovviamente saranno una conseguenza, ma lì si parla di 40 nazioni e 40 lingue, questione diversa da una “comunanza di strumenti di debito pubblico”. I quali, comunque, sono abbastanza infattibili per ragioni non così sconosciute…
Sgombriamo il campo: la paura è l’implosione
Sebbene sia sia dimostrato un politico modesto, specialmente quando è stato alla guida del governo italiano, a Mario Draghi va riconosciuta una certa lucidità sulla consapevolezza dei limiti del sistema. Dai tempi del Quantitative Easing, l’ex presidente Bce e premier italiano ha sempre insistito sulla necessità di “immettere denaro” nell’economia. La lezione del maestro, in qualche maniera e nonostante il “tradimento”, sopravvive. Come la consapevolezza negli ambienti vicini a Bruxelles della fragilità dell’Unione stessa. Quasi nessuno ha sottolineato con tanta insistenza questo aspetto, il che, forse, qualcosa vuol dire. La nostra opinione, da tempo, è la seguente: Draghi è consapevole che l’Ue sia insostenibile, di conseguenza lancia dei moniti per una sua rivoluzione interna. Con il dettaglio sopracitato: si tratta di un cambiamento inconciliabile con gli interessi finanziari che dominano l’istituto sovranazionale con sede a Bruxelles, tra interessi sui debiti e crescita esponenziale di un capitalismo finanziario che non sarà certo il primo a tirare i remi in barca. E di cui Draghi, peraltro, è sempre stato un fedele servo.
Alberto Celletti