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“Riscopriamo l’austerity”, dice il Corriere. Come se non ne avessimo avuta abbastanza

by Sergio Filacchioni
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Austerity

Roma, 26 ottobre – “I grandi amori non finiscono…” cantava qualcuno: nemmeno quello del giornalismo italiano per le ricette di austerity, rispolverate sempre per commentare gli innalzamenti del debito. Il Corriere della sera infatti, commentando il dato sul debito accumulato globalmente da Stati, famiglie e imprese (sia finanziarie che non finanziarie) che ha toccato i 307 mila miliardi di dollari, si è lasciato andare ad un delirante ragionamento.

Austerity oppure spesa?

Il debito pubblico globale è oggi attorno ai centomila miliardi di dollari, sopra al 97% del Prodotto lordo del mondo. Questo vuol dire che un quinto del Pil va a pagare interessi, una fetta importante che non può essere altresì spesa per i servizi pubblici come scuola e sanità, ma nemmeno investite su infrastrutture essenziali. I rialzi costanti dei tassi d’interesse da parte del Fondo monetario internazionale – o della Bce, l’ultimo proprio a settembre – d’altronde non facevano presagire nulla di diverso: è il capitalismo baby… potrebbe dire qualcuno, ma ormai la mole di “virtualità” raggiunta da questo tipo di economia puramente finanziaria è del tutto fuori controllo, come già ampliamente dimostrato dalle recessioni economiche globali scatenate dalle bolle speculative, come ad esempio quella degli ormai arcinoti mutui subprime. Eppure non si possono bacchettare Stati ed imprese semplicemente perchè “spendono troppo”, soprattutto non se questa spesa viene dettata dalle esigenze della transizione energetica ed ecologica che a livello globale sono state imposte: la Iea (International Energy Agency) ha infatti calcolato che per arrivare all’obiettivo del Net Zero nel 2050, l’investimento annuo dovrà passare da duemila a cinquemila miliardi di dollari nel 2030 e rimanere a quel livello o poco meno fino a metà secolo.

Questione di scopi e mezzi

Andrebbero forse rivisti gli obiettivi della spesa, quindi, più che riscoprire un austerità che altro non serve che aumentare quegli spazi grigi che richiederanno interventi perchè abbandonati, anche perchè – va detto – sarà difficile tagliare più di quanto si è già fatto (ma probabilmente al peggio non c’è mai fine). Andrebbe difeso il risparmio e tutelato un sistema di welfare state che rende più forte il potere d’acquisto delle famiglie, andrebbe difesa l’economia reale formata da piccole e medie imprese che creano ricchezza vera sul territorio; bisognerebbe mettere in campo un piano industriale audace per riconvertire la produzione agli scopi di una transizione “indoor” senza cadere in altre dipendenze. Non usciremo dagli squilibri della globalizzazione costringendo gli Stati a scegliere tra ripagare il debito o finanziare la scuola pubblica, ma costringendo questo sistema a tornare nei binari della giustizia. Riscoprire quindi l’economia come mezzo e non come fine. Ad eterno scandalo di bacchettoni e “cultori delle cedole bancarie”.

Sergio Filacchioni

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