526
Pisa, 10 ago – Concepito e ampiamente praticato nelle scuole pubbliche dei paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, e in Israele, quello della “scuola senza zaino” e del cooperative learning è un percorso didattico che in Italia è stato recepito soprattutto dalla Toscana: “Si tratta di una proposta educativa che riteniamo valida, stimolante, attuale – sottolinea l’assessore regionale all’Istruzione, Cristina Grieco – sia sotto il profilo del metodo didattico che per i valori che mette al centro. Le tre parole chiave del metodo, che sono responsabilità, comunità e ospitalità, sono fondamentali per gli studenti di oggi, cittadini di domani. Sosteniamo perciò con convinzione questo percorso che, dalla Toscana, sta allargando la sua rete a tutto il Paese”.
Tanto che la giunta regionale della Toscana ha appena stanziato un fondo annuale di 50mila euro finalizzato ad espandere la pratica scolastica finora sperimentalmente applicata in 54 istituti primari, 48 scuole dell’infanzia e sette istituti secondari.
L’assenza della lezione frontale a favore di un insegnamento diversificato costituisce un aspetto fondamentale di questo nuovo orientamento didattico, e scuole senza zaino sono presenti oggi in quasi tutte le province toscane e collegate in rete: capofila del progetto e riferimento della rete nazionale è l’istituto comprensivo “G. Mariti” di Fauglia (Pi).
Studenti fisicamente alleggeriti, lavoro e apprendimento di gruppo o, come si legge nel sito ufficiale dell’iniziativa, “Senza Zaino, per una scuola Comunità“: tutto bene, quindi?
L’abbiamo chiesto a un’insegnante che per molti anni ha abitato proprio nel piccolo centro toscano da cui la sperimentazione ha avuto inizio, dove si è resa protagonista fin dall’inizio di numerose battaglie contro il modello tanto condiviso dalla giunta di Enrico Rossi e Cristina Grieco.
Si tratta di Paola Picchioni, che da 15 anni insegna lingua inglese, oggi al Liceo Scientifico Statale Buonarroti di Pisa, premiata autrice di racconti legati al territorio e di saggi di critica della poesia e di autori anglosassoni, un passato di alcuni anni all’università di Pisa.
Il “Cooperative learning” è un metodo di fare scuola che sembra innovativo e rivoluzionario, ma non privo di aspre discussioni sui pro e i contro.
Come insegnante posso notare le numerose e gravi lacune di questo metodo. Da docente per fortuna non mi sono mai trovata a doverlo propinare agli studenti giacché sono progetti che fino ad ora sono riservati per scuole primarie e secondarie di primo grado, tuttavia avendolo vissuto da vicino come madre di un alunno a cui è stato imposto, ho avuto modo di studiarlo da tutti i punti di vista. Il ‘Senza Zaino’ è un metodo pedagogico ‘rivoluzionario’ solo per l’ Italia, perché in realtà viene applicato nel mondo anglosassone da decenni, in Israele da un po’ di tempo ed anche in Germania ma in modo diverso. Principio fondante di questo approccio è il convincimento che fra studenti e docente non ci debba essere differenza di ‘rango’, o di gerarchia se si preferisce. L’insegnante non siede dietro la cattedra fornendo i suoi insegnamenti e la sua educazione ma si propone più come un datore di input, svolge una funzione di tutoraggio più che di insegnamento. A questo punto sarà anche difficile mantenere la stessa denominazione di docente o insegnante. Gli studenti sono tutti equiparati e messi sullo stesso piano. Ad alcuni potrà sembrare un ineccepibile ed ideale sistema egualitario ma ha in se’ molti germi anche discriminatori. Non si guarda più nemmeno alle difficoltà o alle eccellenze del singolo poiché tutti vengono considerati uguali. L’insegnante o tutor si preoccupa che il lavoro di gruppo venga svolto con la medesima partecipazione da ogni allievo e di certo non ha a cura di impartire loro la lezione di scuola che spesso poi è anche una lezione di vita.
Studi scientifici contraddittori, psicologi e pedagogisti contrapposti: cosa significa la mancanza di un insegnante in cattedra?
Lo studio individuale è completamente assente in questo sistema ‘utopico’. Di fatto la nostra scuola, a partire dalle più notevoli riforme dei primi decenni del secolo scorso, è sempre risultata un sistema grandioso ed efficace. Ha fornito ai più le capacità necessarie per cavarsela anche nella vita e per esprimere le proprie qualità sia in solitaria sia in gruppo. Il lavoro svolto a casa è essenziale al fine di far sviluppare nel fanciullo e poi nell’adolescente la capacità di concentrarsi su un determinato compito e, credendo nelle sue forze, riuscire a compierlo. Il lavoro di gruppo non è meno importante ma non può sostituire il primo, infatti come si può svolgere al meglio un lavoro in più menti se non si è capaci di farlo in parte anche da soli? La figura che deve occuparsi di conciliare questi approcci è il docente. Questi deve mantenere una giusta distanza dagli alunni, non tanto per senso di superiorità quanto per insegnare anche il rispetto e magari la stima per chi è lì ad insegnare. Spodestare un insegnante dalla cattedra è grave e a maggior ragione perché va a scapito degli allievi.
In Italia si usa il termine “scuola senza zaino”, per indicare questo nuovo tipo di insegnamento. Il riferimento allo zaino serve forse per far credere alle tante mamme preoccupate per il pesante fardello che i figli si devono portare sulle spalle che questo nuovo modello di scuola le solleverà da tali premure?
Il nome è ovviamente deciso a tavolino con l’obiettivo di raggirare tante persone facendo loro credere che il non portarsi lo zaino a scuola sia il principale obiettivo di questo metodo anglosassone. Sinceramente, zaino pesante o no, la scuola ha un compito ed un valore così alti che il fatto mi sembra irrilevante. La disinformazione dei giornali compie la giusta propaganda tacendo tutto il resto. Il trovarsi gli strumenti a disposizione, che comunque vanno pagati, non è un vantaggio come candidamente si potrebbe pensare. Ormai dieci anni fa mi ero già esposta su tale argomento con una lettera aperta inviata alla preside dell’istituto che frequentava mio figlio. Ci era stato obbligatoriamente imposto questo nuovo tipo di insegnamento. Io sottolineai come fosse impensabile credere che dei bambini, trovandosi strumenti a disposizione, non decidano di appropriarsene senza curarsi degli altri e quindi già facendo crollare tutto questo castello di sabbia. Inoltre bisogna insegnare ai nostri figli, fin da piccoli, che cosa sia il senso di responsabilità e questo si può esercitare anche semplicemente ricordandosi di cosa è necessario portare a lezione.
In Toscana, in particolare, l’esperimento verrà portato avanti con molta determinazione stanziando la cifra annua di 50mila euro. L’iniziativa odora di politica, ma perché proprio ora?
La scuola senza zaino è il primo e decisivo passo per trasformare la scuola italiana in scuola europea, non però in vista di un ammodernamento, piuttosto verso il precipizio della retorica, purtroppo applicata, dell’internazionalismo e della standardizzazione. Non voglio essere vista come una Cassandra ma ci dovremo aspettare la riduzione degli anni del liceo fino a quattro e la concessione della promozione a tutti. Sarebbe certamente in linea con le teorie egualitarie e per così dire ‘roussoiane’ di questo metodo. Chi ne avrà le possibilità economiche, deciderà senz’altro di mandare i propri figli a studiare nelle scuole private e le pubbliche saranno ridotte allo stesso livello delle sue corrispettive europee se non peggio. Il momento forse sembrerà opportuno sperando di poter godere dell’appoggio degli elettori, dato che gli stessi che propugnano in Toscana e in Italia questa nuova scuola appartengono al partito di maggioranza.
Non si può tacere il fatto che, secondo gli studiosi e sostenitori di questo modello di insegnamento, esso sia funzionale anche per risolvere i problemi dei bambini e giovanissimi affetti da disturbi di tipo DSA (dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia). Può davvero aiutare gli studenti che presentano questi sintomi a superarli o almeno a ridurne l’effetto?
Sono esperta di didattica ai DSA. Gli alunni DSA hanno bisogno di tutor esperti o almeno dotati di buona volontà, perché il DSA ha bisogno di una didattica specifica fatta di spidergram, di sussidi audiovisivi e soprattutto di didattica individualizzata quando le difficoltà a scuola aumentano (quindi nelle scuole superiori di indirizzo tecnico e nei licei). L’insegnamento in questi nuovi istituti ‘senza zaino’ si baserà sull’eguaglianza impossibile degli studenti. Il lavoro svolto a scuola non sarà mirato verso nessuno e nessuno riceverà particolare attenzione. L’individuo lascia il posto al collettivo. Chi fosse DSA insomma non verrebbe aiutato o, come è normale che sia, messo nelle condizioni più adeguate per seguire la lezione. Inoltre il momento più importante per questi studenti è il lavoro svolto a casa. Infatti la scarsa memoria, tipica dei DSA, inficia sicuramente sull’apprendimento. Lavorando di pomeriggio però può senza dubbio consentire di recuperare e anzi di progredire. Dopo scuola con l’aiuto di un tutor vengono fissati i concetti fondamentali della lezione fatta dall’insegnante durante la mattina e così ognuno svolge il suo compito per il bene dello studente. Negare ogni tipo di differenza anche nel mondo della scuola non soltanto è contro natura ma è anche un netto colpo di falce assestato al futuro ed alla formazione dei nostri figli.
Cosimo Meneguzzo
Pisa, 10 ago – Concepito e ampiamente praticato nelle scuole pubbliche dei paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, e in Israele, quello della “scuola senza zaino” e del cooperative learning è un percorso didattico che in Italia è stato recepito soprattutto dalla Toscana: “Si tratta di una proposta educativa che riteniamo valida, stimolante, attuale – sottolinea l’assessore regionale all’Istruzione, Cristina Grieco – sia sotto il profilo del metodo didattico che per i valori che mette al centro. Le tre parole chiave del metodo, che sono responsabilità, comunità e ospitalità, sono fondamentali per gli studenti di oggi, cittadini di domani. Sosteniamo perciò con convinzione questo percorso che, dalla Toscana, sta allargando la sua rete a tutto il Paese”.
Tanto che la giunta regionale della Toscana ha appena stanziato un fondo annuale di 50mila euro finalizzato ad espandere la pratica scolastica finora sperimentalmente applicata in 54 istituti primari, 48 scuole dell’infanzia e sette istituti secondari.
L’assenza della lezione frontale a favore di un insegnamento diversificato costituisce un aspetto fondamentale di questo nuovo orientamento didattico, e scuole senza zaino sono presenti oggi in quasi tutte le province toscane e collegate in rete: capofila del progetto e riferimento della rete nazionale è l’istituto comprensivo “G. Mariti” di Fauglia (Pi).
Studenti fisicamente alleggeriti, lavoro e apprendimento di gruppo o, come si legge nel sito ufficiale dell’iniziativa, “Senza Zaino, per una scuola Comunità“: tutto bene, quindi?
L’abbiamo chiesto a un’insegnante che per molti anni ha abitato proprio nel piccolo centro toscano da cui la sperimentazione ha avuto inizio, dove si è resa protagonista fin dall’inizio di numerose battaglie contro il modello tanto condiviso dalla giunta di Enrico Rossi e Cristina Grieco.
Si tratta di Paola Picchioni, che da 15 anni insegna lingua inglese, oggi al Liceo Scientifico Statale Buonarroti di Pisa, premiata autrice di racconti legati al territorio e di saggi di critica della poesia e di autori anglosassoni, un passato di alcuni anni all’università di Pisa.
Il “Cooperative learning” è un metodo di fare scuola che sembra innovativo e rivoluzionario, ma non privo di aspre discussioni sui pro e i contro.
Come insegnante posso notare le numerose e gravi lacune di questo metodo. Da docente per fortuna non mi sono mai trovata a doverlo propinare agli studenti giacché sono progetti che fino ad ora sono riservati per scuole primarie e secondarie di primo grado, tuttavia avendolo vissuto da vicino come madre di un alunno a cui è stato imposto, ho avuto modo di studiarlo da tutti i punti di vista. Il ‘Senza Zaino’ è un metodo pedagogico ‘rivoluzionario’ solo per l’ Italia, perché in realtà viene applicato nel mondo anglosassone da decenni, in Israele da un po’ di tempo ed anche in Germania ma in modo diverso. Principio fondante di questo approccio è il convincimento che fra studenti e docente non ci debba essere differenza di ‘rango’, o di gerarchia se si preferisce. L’insegnante non siede dietro la cattedra fornendo i suoi insegnamenti e la sua educazione ma si propone più come un datore di input, svolge una funzione di tutoraggio più che di insegnamento. A questo punto sarà anche difficile mantenere la stessa denominazione di docente o insegnante. Gli studenti sono tutti equiparati e messi sullo stesso piano. Ad alcuni potrà sembrare un ineccepibile ed ideale sistema egualitario ma ha in se’ molti germi anche discriminatori. Non si guarda più nemmeno alle difficoltà o alle eccellenze del singolo poiché tutti vengono considerati uguali. L’insegnante o tutor si preoccupa che il lavoro di gruppo venga svolto con la medesima partecipazione da ogni allievo e di certo non ha a cura di impartire loro la lezione di scuola che spesso poi è anche una lezione di vita.
Studi scientifici contraddittori, psicologi e pedagogisti contrapposti: cosa significa la mancanza di un insegnante in cattedra?
Lo studio individuale è completamente assente in questo sistema ‘utopico’. Di fatto la nostra scuola, a partire dalle più notevoli riforme dei primi decenni del secolo scorso, è sempre risultata un sistema grandioso ed efficace. Ha fornito ai più le capacità necessarie per cavarsela anche nella vita e per esprimere le proprie qualità sia in solitaria sia in gruppo. Il lavoro svolto a casa è essenziale al fine di far sviluppare nel fanciullo e poi nell’adolescente la capacità di concentrarsi su un determinato compito e, credendo nelle sue forze, riuscire a compierlo. Il lavoro di gruppo non è meno importante ma non può sostituire il primo, infatti come si può svolgere al meglio un lavoro in più menti se non si è capaci di farlo in parte anche da soli? La figura che deve occuparsi di conciliare questi approcci è il docente. Questi deve mantenere una giusta distanza dagli alunni, non tanto per senso di superiorità quanto per insegnare anche il rispetto e magari la stima per chi è lì ad insegnare. Spodestare un insegnante dalla cattedra è grave e a maggior ragione perché va a scapito degli allievi.
In Italia si usa il termine “scuola senza zaino”, per indicare questo nuovo tipo di insegnamento. Il riferimento allo zaino serve forse per far credere alle tante mamme preoccupate per il pesante fardello che i figli si devono portare sulle spalle che questo nuovo modello di scuola le solleverà da tali premure?
Il nome è ovviamente deciso a tavolino con l’obiettivo di raggirare tante persone facendo loro credere che il non portarsi lo zaino a scuola sia il principale obiettivo di questo metodo anglosassone. Sinceramente, zaino pesante o no, la scuola ha un compito ed un valore così alti che il fatto mi sembra irrilevante. La disinformazione dei giornali compie la giusta propaganda tacendo tutto il resto. Il trovarsi gli strumenti a disposizione, che comunque vanno pagati, non è un vantaggio come candidamente si potrebbe pensare. Ormai dieci anni fa mi ero già esposta su tale argomento con una lettera aperta inviata alla preside dell’istituto che frequentava mio figlio. Ci era stato obbligatoriamente imposto questo nuovo tipo di insegnamento. Io sottolineai come fosse impensabile credere che dei bambini, trovandosi strumenti a disposizione, non decidano di appropriarsene senza curarsi degli altri e quindi già facendo crollare tutto questo castello di sabbia. Inoltre bisogna insegnare ai nostri figli, fin da piccoli, che cosa sia il senso di responsabilità e questo si può esercitare anche semplicemente ricordandosi di cosa è necessario portare a lezione.
In Toscana, in particolare, l’esperimento verrà portato avanti con molta determinazione stanziando la cifra annua di 50mila euro. L’iniziativa odora di politica, ma perché proprio ora?
La scuola senza zaino è il primo e decisivo passo per trasformare la scuola italiana in scuola europea, non però in vista di un ammodernamento, piuttosto verso il precipizio della retorica, purtroppo applicata, dell’internazionalismo e della standardizzazione. Non voglio essere vista come una Cassandra ma ci dovremo aspettare la riduzione degli anni del liceo fino a quattro e la concessione della promozione a tutti. Sarebbe certamente in linea con le teorie egualitarie e per così dire ‘roussoiane’ di questo metodo. Chi ne avrà le possibilità economiche, deciderà senz’altro di mandare i propri figli a studiare nelle scuole private e le pubbliche saranno ridotte allo stesso livello delle sue corrispettive europee se non peggio. Il momento forse sembrerà opportuno sperando di poter godere dell’appoggio degli elettori, dato che gli stessi che propugnano in Toscana e in Italia questa nuova scuola appartengono al partito di maggioranza.
Non si può tacere il fatto che, secondo gli studiosi e sostenitori di questo modello di insegnamento, esso sia funzionale anche per risolvere i problemi dei bambini e giovanissimi affetti da disturbi di tipo DSA (dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia). Può davvero aiutare gli studenti che presentano questi sintomi a superarli o almeno a ridurne l’effetto?
Sono esperta di didattica ai DSA. Gli alunni DSA hanno bisogno di tutor esperti o almeno dotati di buona volontà, perché il DSA ha bisogno di una didattica specifica fatta di spidergram, di sussidi audiovisivi e soprattutto di didattica individualizzata quando le difficoltà a scuola aumentano (quindi nelle scuole superiori di indirizzo tecnico e nei licei). L’insegnamento in questi nuovi istituti ‘senza zaino’ si baserà sull’eguaglianza impossibile degli studenti. Il lavoro svolto a scuola non sarà mirato verso nessuno e nessuno riceverà particolare attenzione. L’individuo lascia il posto al collettivo. Chi fosse DSA insomma non verrebbe aiutato o, come è normale che sia, messo nelle condizioni più adeguate per seguire la lezione. Inoltre il momento più importante per questi studenti è il lavoro svolto a casa. Infatti la scarsa memoria, tipica dei DSA, inficia sicuramente sull’apprendimento. Lavorando di pomeriggio però può senza dubbio consentire di recuperare e anzi di progredire. Dopo scuola con l’aiuto di un tutor vengono fissati i concetti fondamentali della lezione fatta dall’insegnante durante la mattina e così ognuno svolge il suo compito per il bene dello studente. Negare ogni tipo di differenza anche nel mondo della scuola non soltanto è contro natura ma è anche un netto colpo di falce assestato al futuro ed alla formazione dei nostri figli.
Cosimo Meneguzzo
6 comments
Articolo di parte e poco fondato su dati di ricerca.
Innanzitutto stabilisce una confusione tra Cooperative Learning e Global Curriculum Approach (Scuola senza zaino), in secondo luogo riferisce opinioni della prof Picchioni che tradiscono la sua limitata conoscenza del Cooperative. Li elenco:
1. Il Cooperative è una metodologia utilizzata in tutti gli ordini di scuola dall’Infanzia al’università. Non ne sono esenti le scuole superiori, anche in Italia
2. Gli studenti non sono “tutti considerati uguali” ma “con gli stessi diritti di imparare” perciò si producono percorsi altamente individualizzati
3. Nel Cooperative è assolutamente presente una fase di lavoro individuale. NON E’ VERO che si esaurisce tutto nel gruppo. Altrimenti che fine fa la responsabilità individuale, una delle cinque caratteristiche fondamentali del Cooperative Learning
4. Ampia potrebbe poi essere la discussione su cosa rappresentino l’insegnante e l’insegnamento oggi. Certo non qualcuno che ottiene la stima degli studenti per dove sta (“in cattedra”) o per come usa il suo potere con loro (“Spodestare un insegnante dalla cattedra è grave e a maggior ragione perché va a scapito degli allievi.”). Piuttosto insegnante è colui che ottiene la stima dei suoi studenti perché li aiuta a trovare, a rintracciare dentro ad ognuno di loro il senso personale, il proprio scopo soprattutto grazie al contatto con le proprie radici storiche letterarie, culturali, artistiche, ambientali.
Perciò è evidente che l’articolo voleva essere una presa di posizione politica nei confronti della Giunta Regionale e delle sue scelte economiche ma per favore non mischiate in queste operazioni di detrazione politica metodologie didattiche come il Cooperative Learning o metodologie organizzative come il Global Curriculum Approach che hanno alle loro spalle decenni di ricerca scientifica (si vedano a questo scopo le meta-analisi dei Johnson e del gruppo di Slavin Success for all) e dati dati di evidenza. Non solo pareri personali di chi non solo non ha fatto ricerca ma anche non ha nemmeno sperimentato il metodo perchè forse ha un’idea troppo elitaria dell’insegnamento.
Ci tengo a precisare che il mio contributo all’intervista di Cosimo Meneguzzo si basa sia sulla conoscenza indiretta come madre di un bambino che è stato coinvolto per cinque anni nel Senza Zaino, che sull’esperienza di chi ha adottato per venti anni, pur brevemente e saltuariamente, metodologie di tipo laboratoriale in classe con centinaia di ragazzi della scuola media e superiore in Toscana (di cui potremmo parlare a lungo). Quando scrivo o discuto di Senza Zaino non è mia intenzione fare politica (cosa che peraltro io non faccio e non ho mai fatto) ma riflettere di scuola presente e futura; infine, sostengo che si può essere contrari ai principi fondanti del Senza Zaino pur essendo iscritta alla CGIL e votando a sinistra da ormai molti anni.
Paola Picchioni
Salve Daniela Pavan, il suo commento sembra presentarsi anche articolato se non si tenesse di conto però che è quanto mai distante dall’articolo che vorrebbe criticare. Insomma è
Come se nell’articolo si parlasse di acqua salata e la risposta riguardasse l’acqua dolce, solo vagamente simili. Ma capiamo bene perché: allora il cooperative learning si basa sulla supposta ed errata e faziosa (veramente faziosa) idea di eguaglianza fra studenti (cosa ovviamente innaturale e sbagliata) poi il lavoro individuale ovviamente è ridotto al minimo per cedere il posto al COOPerative. Nessuno qui ha detto che il docente debba avere la stima degli allievi, probabilmente ne parlavano in un altro articolo e c’è stata una accidentale confusione da parte sua. Il docente dovrebbe guadagnarsi la stima degli studenti ma in ogni caso SEMPRE ricevere il loro rispetto. I metodi delle scuole senza zaino in Italia (e a noi di questo importa) sono per adesso applicati solo per le elementari e medie e non superiori. All’estero come negli USA il 60% delle scuole elementari lo applica ma le critiche non solo da parte di pedagogisti ma anche di medici, come la responsabile della clinica dei presidenti americani, sono moltissime e crescenti.
Loro si sono accorti dell’errore noi invece un po’ come quando compravamo gli sherman prendiamo qualsiasi cosa proveniente dall’America come oro. Beh insomma a questo punto si sta riscrivendo un trattato comunque molto lieto della replica perché fa
Sempre piacere
Confrontarsi. Cordialissimi saluti,
Cosimo meneguzzo
L’esperienza Senza Zaino non è una ricetta miracolosa per la scuola ci mancherebbe. Semplicemente è un tentativo di mettere a sistema vari contributi che nelle scuole vngono declamati ma non praticati. Come nota la prof. Picchioni tra l’altro ci si ispira anche a quanto accade nelle scuole angolo – sassoni che abbiamo visitato, ma anche si ispira alle scuole montessoriane. Inoltre seguiamo l’approccio delle differenziazione dell’insegnamento di C. Tomlinson: quindi molto lontani dall’egualitarismo e dalla parificazione docente – alunno. In ogni modo forse se si leggessero i testi e i documenti e si visitassero le scuole la critica, che è fondametale, potrebbe essere più mirata. Marco Orsi
Convinto dal grande entusiasmo della preside ho iscritto mio figlio ad una classe “senza zaino”. Posso tranquillamente affermare che è la scuola del nulla: pochi contenuti e tanto fumo negli occhi degli inconsapevoli genitori. Si svolge la metà del lavoro rispetto alle classi non senza zaino, dove ha frequentato la figlia più grande.
Pessima esperienza.
Papà deluso, provincia di Bari
Il nostro piccolo Daniel Xavier soffre di una rara (per fortuna!) sindrome, la sindrome di Vactrel ed ha anche uno stress post traumatico causa un intervento molto particolare alla colonna vertebrale, ha il pollice destro non articolato, problemi con l’intestino, ecc…
Dopo visita su visite gli è stata riconosciuta l’invalidità e quindi usufruisce della legge 104 ed ha diritto ad una insegnante di sostegno.
Sapete cosa vuol dire guardare vostro figlio negli occhi e non sapere se e quando potrà essere un bambino come la maggior parte, cioè un bambino normale?
Alla notizia del progetto della “scuola senza zaino” abbiamo immediatamente interpellato gli esperti, che lo seguono e lo conoscono da anni chiedendo, che effetto avrebbe su di lui l’asilo senza zaino e la scuola elementare senza zaino.
Su 10 persone, 9 hanno dato parere negativo perché Daniel ha bisogno di essere seguito personalmente ed ha bisogno (come tutti secondo me, ma lui in particolare modo) di regole e abitudini fisse e disciplina.
Un cambiamento forte che potrebbe venire alla fine delle elementari, cioè trovarsi in una scuola classica, potrebbe avere risvolti negativi, blocchi e regressioni, ecc…
Cosa dobbiamo fare? rischiare 5 anni della vita di nostro figlio e votare SI o seguire le raccomandazioni degli specialisti che lo conoscono bene e votare NO mettendoci contro il paese in cui abbiamo deciso di fare crescere il nostro Daniel?
Voi cosa fareste?