Roma, 6 mar – «Il mondo è un enorme ed eterno agon che si svolge secondo severe regole di combattimento», così Oswald Spengler, in un suo breve scritto dedicato a Eraclito, descriveva l’essenza profonda dello spirito greco e classico. Per poi aggiungere, «La lotta nel mondo è un fatto costante». Non a caso uno dei frammenti eraclitei più celebri recita: «Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re, e gli uni disvela come dèi gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi». Questo potrebbe essere uno degli innumerevoli punti di partenza per spiegare come la guerra appartenga al nucleo più intimo dei popoli europei. Una realtà che, negli ultimi decenni, il lavaggio del carattere imposto agli europei ha tentato di nascondere e smantellare, ma che ora, per l’ennesima beffa della storia, riaffiora inevitabilmente.
Dove sono ormai i guerrieri d’Europa?, l’articolo di Scurati su Repubblica
Siamo nel quarto anno di guerra aperta tra Russia e Ucraina, con colpevole ritardo l’Ue ha lanciato il suo programma di riarmo militare: ReArm Europe. È quantomeno singolare che le stesse persone che sembravano voler costringere l’Europa all’irrilevanza, discutendo del sesso degli angeli e del Green New Deal, si vogliano riportare nei binari della storia. Così come suonano sorprendenti le repentine conversioni di certi intellettuali à la page. Ad esempio, su Repubblica Antonio Scurati si chiede sconsolato: «Chi combatterà le nostre prossime guerre?». Serviva «il tradimento di Donald Trump» per far riemergere il grande rimosso dell’Europa: la guerra. L’autore di M. – Il figlio del secolo sembra rendersi conto del valore fondativo del conflitto e, dall’altra parte di quanto sia stato un errore educare intere generazione alla vigliaccheria, al pacifismo, al disfattismo, sognando una impossibile pace perpetua. Troviamo una consapevolezza e una lucidità che non ci saremmo mai aspettati. La guerra viene intesa come ciò che «ha mosso la storia d’Europa» e «definito l’identità degli europei». Ciò è vero anche al di là del solo piano materiale: «La guerra dei nostri antenati europei non è stato solo il dominio della forza, è stato anche il luogo di genesi del senso». Scurati trova anche il tempo per citare due pesi massimi della cultura europea: «Da Omero a Ernst Jünger la nostra civiltà ha pensato il combattimento armato frontale, micidiale e decisivo addirittura come proprio fondamento perché nella guerra eroica ha trovato l’esperienza plenaria, l’accadimento fatidico, il momento della verità nel quale si sono generate le forme della politica, i valori della società, si sono decisi i destini individuali e collettivi». Nel discorso scuratiano sono presenti alcuni dei principali leitmotiv della visione europea della guerra: il suo carattere agonale e cavalleresco, perciò giusto; l’importanza data all’eroismo, quale emergere dell’individualità e al tempo stesso espressione della comunità; il ruolo del destino, consapevolmente riconosciuto nella sua tragicità, senza mai però piegarsi arrendevolmente di fronte ad esso.
Dall’elogio alla guerra al solito antifascismo
Se è vero – come sosteneva un personaggio caro a Scurati, quello stesso Mussolini a cui deve gran parte delle sue fortune – che sono le guerre a generare le rivoluzioni e non il contrario, la guerra in Ucraina sembrerebbe poter condurre a un cambio di paradigma inatteso, per usare un eufemismo. Un ritorno a quello spirito guerriero ed eroico da tempo dimenticato. Anche se questo non è il caso di Scurati, il quale mostra di essere immerso fino al collo in quella inettitudine morale e politica che rimprovera all’Europa di oggi. Dopo essersi chiesto «Chi combatterà le nostre prossime guerre?», si corregge immediatamente: «Chi combatterà al nostro posto le nostre prossime guerre?». Insomma, più che guerrieri, più che «uomini risoluti a uccidere e a morire», sembra voler cercare nuovi protettori per l’Europa visto il disimpegno degli americani. Una sorta di sindrome di Stoccolma che prosegue per tutto il resto dell’articolo. Allo stesso modo, Scurati descrive il pacifismo per coppie di ossimori, come «avanzare regressivo», o, ancora, mettendo insieme decadenza e civilizzazione, mostrando qui tutta la sua doppiezza e ambiguità. Anzi, appare del tutto irrecuperabile quando parla della civiltà come «il grande utero esterno», un’immagine che ci dice molto del modo di veder il mondo da parte dei progressisti, con il suo richiamo a una linea matriarcale, all’indistinto e all’informe, a un bisogno di sicurezza infantile e castrante, all’inversione tra dentro e fuori, tra interno e esterno, forma e caos. A questo punto le argomentazioni di Scurati deragliano definitivamente con il richiamo all’antifascismo e alla Resistenza. Insomma, dopo i lampi di lucidità sul valore della guerra, Scurati torna alla diserzione interiore e alla negazione di ciò che è l’identità profonda degli europei.
Michele Iozzino