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Tre anni di guerra in Ucraina, nonostante tutto

by Michele Iozzino
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Roma, 24 feb – Nonostante i disfattismi, nonostante l’abbraccio russo-americano, entriamo oggi nel quarto anno di guerra tra Ucraina e Russia. Infatti, era il 24 febbraio del 2022 quando Putin dava inizio alla sua “operazione speciale”, puntando a Kiev.

L’invasione russa e la mela avvelenata del disfattismo

L’anno scorso, sempre in occasione della data del 24 febbraio, avevamo parlato di Guillame Faye e della sua prospettiva di una “convergenza di catastrofi” per tentare di guadagnare un certo angolo visuale sugli eventi in corso. Per il pensatore francese il XXI avrebbe visto intersecarsi alcune “linee drammaturgiche” che avrebbero portato “verso un punto di rottura di transizione nel caos”. Quella storia da cui si pretendeva di poter uscire, sarebbe rientrata con tutta la sua violenza. Il conflitto in Ucraina è certamente una di queste svolte del destino, con la guerra a riaffacciarsi nell’orizzonte dei popoli europei. Una sorta di prova del fuoco, con il riemergere di una dimensione imprevista, pericolosa, conflittuale, eroica, a tratti tragica. Di fronte alla quale, però, in molti sembrano aver preferito chiudere gli occhi. Se non addirittura assumere una posizione fatalista, disfattista, di intima vigliaccheria e risentimento verso chi combatte. Quasi che la volontà degli ucraini di non capitolare, di non perdere la propria terra, di non piegare la testa di fronte alle avversità, sia una colpa. Ancora prima delle letture geopolitiche e ideologiche, a prescindere dagli esiti della guerra, questa postura etica o, meglio, questa mancanza di una postura etica, questo disfarsi dello spirito, è certamente uno degli aspetti peggiori e più respingenti di molta della retorica anti-ucraina. Un atteggiamento che diventa vero e proprio odio di sé nei sorrisi compiaciuti per quella che, dalle trattative tra Washington e Mosca, sembrerebbe una sconfitta europea.

La guerra in Ucraina e lo scacchiere internazionale

La grande sconfitta di questa guerra sembrerebbe destinata ad essere proprio l’Europa e gli americani quelli che più ci hanno guadagnato. Come al solito gli Stati Uniti hanno portato avanti i propri interessi in maniera sporca, prima indebolendo l’economia europea staccandola dal gas russo, poi frustando ogni tentativo di poter effettivamente vincere la guerra, e infine passando all’incasso con la Russia. Quest’ultima, dal canto suo, si è lasciata giocare in tutto questo, sacrificando molto per molto poco. Alcuni degli obiettivi iniziali, come un governo meno filo-occidentale a Kiev, la smilitarizzazione dell’Ucraina e il deponziamento della Nato sembrano oggi ancora più irraggiungibili. Non si può nemmeno parlare davvero di sconfitta ucraina, perché se è vero che ad oggi il ritorno ai confini del 2014 appaia impossibile, ciò lo è era anche prima del 2022. L’invasione russa avrebbe dovuto portare a una capitolazione ucraina, così non è stato. In questo senso, finché vive l’Ucraina è vittoriosa. Se dovessimo parlare il linguaggio del nostro nazionalismo, per parlare dei territori che l’Ucraina non ha potuto riconquistare, parleremmo non di una Ucraina sconfitta ma di una Ucraina irredenta. A rimanere con il cerino in mano è appunto l’Europa e di conseguenza l’Italia. L’Europa non è riuscita a imporre una propria pace, magari mostrando un po’ di muscoli, a inizio del conflitto quando la situazione le era favore, ma sembra dovrà subirla ora che è contro di lei.

Il culto del coraggio contro quello della sconfitta

La logica conseguenza di tutto questo dovrebbe essere rendersi conto delle ambiguità di russi e americani, ma soprattutto quella di vedere nella debolezza dell’Europa un problema. Al contrario, chi si lamenta delle mancanze europee è molto più spesso chi vorrebbe un’Europa ancora più debole, ancora più insignificante, ancora meno padrona del proprio destino. Così si crea una strana schizofrenia, si odia l’Unione europea ma si amano Putin e Trump, ci si lamenta dell’incapacità dei leader europei ma si festeggia quando fanno scelte sbagliate, si dice di essere identitari, sovranisti, nazionalisti, ma ci sente ostaggio di un “Paese occupato” e si sceglie di non riconoscersi nella propria terra perché ha il governo sbagliato, si dice che l’Italia non c’entri nulla solo per giustificare qualsiasi immobilismo. In fondo, si coltiva tutto ciò che è sconfitta perché si è smesso di coltivare la propria vittoria, il proprio coraggio. Chiuso nella propria cella Brasillach scriveva, “Laissez-moi le courage à défaut d’autre bien”, lasciatemi il coraggio, non ho più nulla. Tra queste miserie, solo al coraggio possiamo credere, solo al coraggio di chi ha preso una posizione e ha difeso la propria terra, di chi ha permesso con il proprio sangue che l’Ucraina viva.

Michele Iozzino

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