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Sestri Ponente, il “pestaggio nero” del sindacalista Cgil era una bufala

by La Redazione
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Sestri Ponente

Roma, 17 apr – È bastato poco per scatenare l’indignazione pubblica: una denuncia, una narrativa ben confezionata e la macchina della propaganda si è subito messa in moto. L’altra sera a Sestri Ponente è andata in scena la solita rappresentazione antifascista: in prima fila la candidata sindaca del centrosinistra Silvia Salis, dietro di lei i vertici della Cgil, e intorno centinaia di persone scese in piazza per protestare contro la presunta aggressione “di stampo fascista” ai danni di un sindacalista della Fillea-Cgil.

Sestri Ponente e il “pestaggio nero”

Le parole di Salis erano state perentorie: «Questa mattina un sindacalista della Fillea-Cgil è stato aggredito mentre svolgeva il proprio lavoro in un cantiere. Insulti, sputi, saluto romano». Da lì, una raffica di comunicati bipartisan, perfino in consiglio regionale, dove la minoranza ha dato spettacolo inscenando una protesta contro la maggioranza, culminata in un documento approvato all’unanimità a sostegno del presunto aggredito. E come se non bastasse, anche il Prefetto di Genova ha ricevuto una delegazione Cgil, parlando di “clima d’odio” da arginare. Ma ora la versione comincia a scricchiolare. Secondo quanto emerso dalle indagini della Digos, i contorni dell’episodio sono tutt’altro che chiari. Il sindacalista, subito dopo i fatti, si era recato al Commissariato di Cornigliano per sporgere denuncia. Ma gli investigatori, fin da subito, hanno rilevato “diverse incongruenze” nel suo racconto. Le telecamere della zona – visionate con attenzione dagli inquirenti – raccontano tutt’altra storia rispetto a quella diffusa a mezzo stampa e rilanciata dai soliti noti. Innanzitutto, l’orario dell’aggressione non coincide con quanto riferito: l’auto del sindacalista, infatti, risulta parcheggiata sotto casa sua nel momento in cui avrebbe dovuto trovarsi sul luogo dell’aggressione. E ancora: secondo i video, quella mattina l’uomo non era da solo, come dichiarato, ma accompagnato da alcuni familiari diretti con lui alla sede della Cgil. Dubbi anche sulla destinazione lavorativa: il sindacalista non è stato in grado di indicare con precisione chi avrebbe dovuto incontrare e dove. Infine, i famigerati volantini pro-referendum sul lavoro che – secondo la denuncia – sarebbero stati strappati dall’auto dagli aggressori, non risultano nemmeno presenti nel filmato esaminato dalla Polizia. E del “saluto romano”? Nemmeno l’ombra. Un’accusa sbandierata con facilità, ma senza alcun riscontro concreto.

Una narrazione che fa acqua da tutte le parti

E ora, a chiudere il cerchio, arriva la notizia che il sindacalista ha ritirato ufficialmente la denuncia, parlando di “troppa pressione emotiva”. Una retromarcia che suona come una conferma di quanto già emerso dalle indagini: la presunta aggressione “fascista” era priva di fondamento. Eppure è bastata una versione tutta da verificare per scatenare la macchina dell’indignazione, mobilitare piazze, politicanti e perfino il Prefetto. Chi risponderà adesso della strumentalizzazione di massa messa in atto? Chi chiederà scusa ai cittadini genovesi per averli coinvolti in una sceneggiata senza prove? Mentre cala il sipario sull’ennesima bufala antifascista, rimane il solito silenzio imbarazzato di chi, senza vergogna, ha fatto propaganda sulla pelle della verità.

Vincenzo Monti

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