Atlanta, Georgia, 14 ott – Laureata in matematica all’Università dell’Illinois a Chicago e specializzata – con titolo equivalente al dottorato – in matematica attuariale, Gail Tverberg, “The actuary”, come ama presentarsi, ha lavorato una vita nel settore ultra-specializzato della valutazione del rischio assicurativo, mentre dal 2005 ha deciso di occuparsi a tempo pieno e con medesimo rigore alla valutazione delle conseguenze economiche del declino della disponibilità di petrolio a basso costo di estrazione, in pratica dell’energia a buon mercato che ha consentito a buona parte del mondo di sperimentare una crescita economica e demografica senza precedenti nella storia dell’umanità.
Gail Tverberg detiene un primato unanimemente riconosciuto dagli specialisti del settore: semplificando, è stata la prima a introdurre le variabili finanziarie, in sintesi il debito, nell’ampio dibattito scientifico sul picco del petrolio. Suo, tra gli altri, l’articolo fondativo pubblicato nel 2012 sulla prestigiosa rivista Energy, dal titolo “Limiti alla disponibilità di petrolio e persistente crisi finanziaria”, in cui identificava nell’aumento dei costi di estrazione e trasformazione del petrolio e conseguentemente nella diminuzione del suo consumo, tanto più se valutato pro-capite, una causa primaria della crisi finanziaria del 2008-2009, attraverso il rallentamento della crescita economica a sua volta causa dei default sui debiti, della stretta creditizia, del tracollo dell’edilizia e, in una spirale deflattiva, la diminuzione generale della domanda, preconizzando la crisi dei prezzi delle materie prime che sarebbe sopravvenuta soltanto due anni dopo.
Meccanismi e modelli perfezionati e illustrati in un successivo e recentissimo lavoro, pubblicato in forma di capitolo nella recentissima opera “Sicurezza energetica e sviluppo”, edita da Springer nel 2015, e presentati esclusivamente su queste colonne.
Per saperne di più, siamo riusciti a ottenere dall’esperta americana un’intervista esclusiva.
Dott.ssa Tverberg, Lei fu tra i primi esperti a predire la crisi finanziaria poi dispiegata nel 2008-2009 così come il successivo percorso “a rimbalzi” ma puntato verso il basso dell’economia globale. Dove è indirizzato oggi il mondo sviluppato?
“Il mondo è ora indirizzato verso una crisi di bassi prezzi delle materie prime e bassi ritorni sul capitale. Mentre ci accingiamo a raggiungere i limiti [della crescita] di un mondo con risorse finite, il problema non è che i prezzi crescono troppo in alto, ma che non crescono abbastanza.
La confusione non potrebbe essere più grande nell’opinione pubblica: perché prezzi più bassi del petrolio, dell’energia e delle materie prime dovrebbero essere dannosi per economie manifatturiere come quelle europea, americana e giapponese?
In realtà, i bassi prezzi delle materie prime sono sintomi che l’economia globale è affetta da una grave malattia. Essa non sta crescendo abbastanza velocemente per sostenere il prezzo del petrolio e delle altre materie prime oltre il costo necessario per creare [estrarre, trasportare, trasformare, ndr] le stesse materie prime. La crescita economica sta rallentando così tanto che i prezzi delle materie prime stanno diminuendo.
Mentre i bassi prezzi [delle materie prime] possono apparire inizialmente – e per poco tempo – benefiche, la realtà è che questi [prezzi troppo bassi] porteranno a una diminuzione della produzione delle stesse materie prime. L’economia di ogni paese ha realmente bisogno delle materie prime. Per esempio, una riduzione nella disponibilità di petrolio significherà che un numero inferiore di beni e di persone potranno essere trasportati, e una quantità inferiore di generi alimentari coltivati e allevati. Perfino se, in seguito, i prezzi dovessero schizzare verso l’alto in una eventuale crisi da iperinflazione, la produzione non potrà automaticamente riprendere, a causa del ritardo determinato dalla costruzione di nuove infrastrutture di estrazione petrolifera, nonché a causa della quantità di debito che sarebbe necessaria per realizzare questa nuova capacità.
Nel corso del tempo necessario per risolvere tutte queste difficoltà, la velocità di estrazione del petrolio sarà ulteriormente declinata, portando a una spirale di problemi di difficile soluzione.
Proprio per quello che riguarda gli aspetti temporali, dopo che le compagnie petrolifere stesse si sono trovate in difficoltà finanziarie, è improbabile che le banche continuino a prestare loro i capitali necessari, almeno finché non dovesse essere chiaro che i prezzi del petrolio sono destinati a rimanere permanentemente più elevati. In questo modo, nuove linee di credito non saranno disponibili per parecchi anni, rendendo la possibilità di incrementare nuovamente l’estrazione di petrolio praticamente impossibile”.
Come si combinano lo spaventoso debito sempre crescente, la politica degli interessi zero e gli alleggerimenti quantitativi rispetto agli impatti sulle nostre economie?
“La crescita economica ha continuato a rallentare per molti anni. Il modo per ‘nascondere’ questo fatto è stato la creazione di sempre più debito. Sfortunatamente, con così tanto debito già contratto, diventa difficile ripagarlo con gli interessi.
La politica degli interessi zero [tasso dei prestiti erogati dalla banca centrale alle altre banche, ndr] o ‘Zirp’ è servita e serve tuttora a contenere le spese per interessi al livello più basso possibile, per tentare di rendere possibile il rimborso dei debiti con interesse, e per stimolare l’economia. L’alleggerimento quantitativo [erogazione di denaro creato dal nulla, ndr], o ‘Qe’ è un modo ulteriore per rendere i tassi d’interesse ancora più bassi. Anche questo è stato un provvedimento preso per stimolare l’economia.
Ora, la causa principale sia del rallentamento della crescita economica sia del crescente fabbisogno di debito è stato il costo crescente dell’estrazione del petrolio, a partire circa dall’anno 2000. Al crescere del costo di estrazione del petrolio, gli importatori di questa risorsa hanno visto crescere i propri oneri. Di conseguenza, auto, abitazioni e cibo, tutti prodotti che richiedono petrolio per la rispettiva costruzione, sono pure aumentati di prezzo. Il debito è stato allora utilizzato per pagare questi beni [nonché per consentire gran parte del temporaneo aumento della produzione Usa dai campi di scisto, ndr].
In breve, le nostre economie hanno iniziato a sviluppare seri problemi proprio a partire dal 2000, quale conseguenza indiretta del costo crescente dei prodotti energetici, incluso il petrolio stesso. La crescita del debito si è così resa necessaria per tentare di nascondere questi problemi, e a sua volta questa enorme accumulazione di debito non poteva essere sostenuta se non per mezzo di tassi d’interesse ultra-bassi gravanti sui debiti stessi. È per questo che sono state intraprese le politiche di interessi zero nei prestiti interbancari e i ripetuti alleggerimenti quantitativi”.
L’Italia sta sperimentando una modesta ripresa almeno in alcuni settori: più energia consumata, più traffico, occupazione in leggera crescita (ma non le retribuzioni). Pensa che questa tendenza continuerà?
“Penso che il mondo nel suo complesso stia gradualmente avvicinandosi a una recessione. Ciò nonostante, creo che l’Italia possa sperimentare alcuni altri mesi di lenta crescita prima che la recessione colpisca davvero. Settori e aree dell’economia mondiale stanno rendendo meglio di altre e l’Italia in questo momento è tra queste”.
Sarebbe allora una buona idea per le economie occidentali aumentare i tassi d’interesse, come la Fed (Federal Reserve, o banca centrale americana) pareva volesse fare, per poi rinunciarvi?
“Non raccomanderei alle banche centrali occidentali di adottare alti tassi d’interesse: essi tenderebbero a portare a un [ulteriore] rallentamento della crescita economica e a seri problemi di default sui prestiti contratti a tutti i livelli. Tuttavia, penso che una nuova recessione sia comunque inevitabile, per cui politiche come Zirp e Qe servono essenzialmente a guadagnare tempo”.
Qualche mese fa riportammo una sua analisi su questo giornale a proposito dei fondamentali sottostanti le “crisi arabe” di questi anni. Al di là della stretta attualità, che oggi mette sotto i riflettori la Siria, ci vuole spiegare la sua opinione?
“Il principale problema sottostante è il fatto che la Siria nel recente passato era un paese esportatore di petrolio e adesso [già prima del 2011, ndr] non lo è più, a causa del declino della propria produzione petrolifera, il che ha gettato il paese in una pessima situazione finanziaria. Quando si aggiungano le fluttuazioni climatiche e la popolazione crescente, la Siria si è trovata con un serio problema per generare sufficienti ritorni economici per sfamare la propria popolazione. L’Egitto si è trovato e si trova in una posizione piuttosto simile.
È facile allora che nascano conflitti, quando non ci sono sufficienti risorse per andare avanti. Sia la Siria che l’Egitto hanno bisogno di ‘esportare’ parte della propria popolazione, al fine di bilanciare ciò che il paese può sostenere e il numero di persone che vivono in quelle terre.
Potrei anche menzionare il fatto che, con bassi prezzi del petrolio, anche molti degli altri paesi che sono oggi esportatori di petrolio stanno sperimentando problemi finanziari [come l’Arabia Saudita, ndr]. A causa di questo, questi paesi dovranno tagliare i programmi governativi [di assistenza] diretti alle proprie popolazioni in rapido aumento, così potenzialmente creando altre sorgenti di emigrazione”.
Francesco Meneguzzo