Roma, 10 apr – C’è una storia nella storia, nella vicenda Mama Africa. La storia principale è ovviamente quella dell’ennesima inchiesta gravissima che piomba sul mondo dell’accoglienza. La seconda riguarda il mondo in cui tale vicenda è stata (o, meglio, non è stata) raccontata dai media. Per chi si fosse perso qualcosa, riavvolgiamo il nastro. Qualche giorno fa, sul Mattino di Napoli, e poi sull’Ansa, viene data in modo molto asettico la notizia che il titolare di una onlus che svolgeva attività di assistenza a minori in Africa è stato arrestato con l’accusa di violenza sessuale ai danni di un minorenne, ospite di una casa famiglia a Togoville, città del Sud del Togo. Il nome della onlus, però, stranamente non emerge dalle cronache. E neanche dell’arrestato viene fatto il nome. Si pubblicano solo le iniziali, come si fa in genere con i minori finiti al centro di casi di cronaca, pur essendo (almeno lui…) più che maggiorenne.
Un silenzio mediatico imbarazzante
Pare, insomma, che L.V., di 72 anni, avrebbe costretto per 7 anni, tra il 2007 ed il 2014, il minorenne africano a compiere e subire atti sessuali minacciandolo, in caso contrario, di allontanarlo dalla casa-famiglia che lo ospitava, e di negargli i pasti quotidiani e la frequenza della scuola. Una vicenda gravissima, che ovviamente dovrà essere approfondita in tribunale al fine di raggiungere una verità che ancora non abbiamo, ma che comunque, se avesse riguardato altri contesti, avrebbe guadagnato le prime pagine. E invece qui cala uno strano silenzio. Solo il Primato Nazionale, tra i pochissimi, si prende il coraggio di dire ad alta voce quello che tutti hanno capito.
Si tratta di Mama Africa, onlus famosa anche per la sua vivace pagina facebook, ricca di propaganda anti sovranista. Non ci sono solo una serie di coincidenze più che lampanti (la onlus finita nell’inchiesta è di Pollena Trocchia, che non è esattamente New York, proprio come Mama Africa, le iniziali coincidono, anche se il fondatore di Mama Africa è più conosciuto come Enzo, la casa famiglia in Togo pure), ma anche il comportamento della ong stessa, che lungi dal negare immediatamente i fatti e respingere gli addebiti, mette uno status sibillino rimandando tutto a future comunicazioni degli avvocati. Eppure, malgrado il quadro cristallino, i media tacciono. Non solo: quando parlano, è per attaccare… chi ha dato la notizia.
Le giustificazioni dei siti anti bufale
Bufale.net, che è poco meno di un blog ma che con l’isteria anti fake news si è fatta un nome di autorevole fonte di debunking, scrive su Facebook: “C’è stato un arresto, una situazione in via di definizione e sulla quale giustamente si sta indagando. Poi c’è lo strano scagliarsi contro quelli di MamAfrica, del tutto estranei alla vicenda e costretti a chiudere una popolarissima pagina”. Che la situazione sia in via di definizione è ovvio, ma c’è stato un arresto e delle accuse piuttosto circostanziate: si deve forse aspettare il terzo grado di giudizio prima di parlare, pur con tutte le cautele del caso, della vicenda? E in che senso si afferma con certezza che “quelli di MamAfrica” sono “del tutto estranei alla vicenda”, facendo addirittura passare loro per vittime?
Se fossero confermate le accuse e si scoprisse che il fondatore della onlus, per sette anni, nell’ambito di una loro missione solidale in Africa ha compiuto quegli atti orribili, per di più mettendoci sopra il ricatto al minore, l’associazione ne uscirebbe immacolata, come se niente fosse? Quei geni di Next quotidiano, invece, hanno dato la notizia di un presunto, terribile abuso su minore con questo titolo: “Perché è improvvisamente scomparsa la pagina Facebook di MamaAfrica onlus“. La notizia, insomma, è che quelli di MamaAfrica, poverini, hanno dovuto cancellare la loro pagina Facebook. E perché sono stati costretti a farlo? Ma certo, perché la rete è piena di fasciosovranisti insensibili, ovvio. L’articolo termina con questa frase: “A quanto pare una certa parte politica è contenta nello scoprire dell’esistenza di un presunto molestatore di bambini africani, soprattutto perché l’indagato dovrebbe essere uno degli odiati buonisti”.
Ebbene, lo confessiamo: quando i giudici pongono fine a dei presunti abusi, in effetti proviamo un senso di sollievo. Non dovremmo? Dovremmo auspicare che certe storie non vengano mai alla luce? Secondo Next, pare di sì. Ma se non altro, sia pur per rosicare, almeno loro ne hanno parlato. Per il resto: silenzio. E c’è stato anche chi ha continuato a negare l’evidenza, sui social, difendendo la onlus e attaccando il Primato per aver diffuso l’ennesima fake news razzista.
Se non ché, ieri, la pagina di Mama Africa è tornata on line (attualmente sembra invece di nuovo oscurata) per esprimere la prima ammissione: “L’associazione Mama Africa Onlus”, si legge nella nota, “in relazione alle notizie di stampa che hanno riguardato la posizione del proprio fondatore Enzo Liguoro e le vicissitudini giudiziarie che lo hanno portato a subire nei giorni scorsi una misura preventiva di limitazione della libertà personale per gravi accuse inerenti presunti abusi a carico di un minore, nel ribadire la fiducia e la stima nella sua persona, immune da qualsiasi sospetto o macchia nel suo impegno sociale ultra trentennale, esprime la più profonda fiducia nel lavoro della magistratura e degli inquirenti, certa che Papà Enzo potrà chiarire nelle sedi competenti la completa estraneità alle ipotesi di reato contestate». Ma certo, siamo tutti in attesa dei chiarimenti di Papà Enzo. Nel frattempo, scusateci se cerchiamo di raccogliere il giornalismo dal fango della complicità ideologica in cui i bravi e buoni della professione l’hanno fatto precipitare.
Adriano Scianca
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