Roma, 2 apr – Le bandiere della Jugoslavia di Tito sventolano nel centro di Gorizia, più precisamente in Corso Verdi, nel palazzo che fu la vecchia sede del municipio. Un gesto squallido, in sfregio ai tutti i nostri connazionali infoibati e uccisi dai partigiani slavi.
La condanna del sindaco di Gorizia
Netta la condanna del sindaco di Gorizia ed ex presidente nazionale ANVGD e della Lega Nazionale Gorizia, Rodolfo Ziberna, “Centinaia sono stati i goriziani deportati e uccisi a guerra finita dai partigiani comunisti titini. Esporre queste bandiere significa uccidere per la seconda volta queste sorelle e fratelli goriziani. Significa farsi beffe dei sentimenti di centinaia di famiglie che portano ancora con sé questo dramma familiare e di tutta la comunità goriziana”. Proprio per il suo essere una città di confine, Gorizia nella sua storia ha sofferto in nome della sua italianità. Città redenta grazie al Grande Guerra, visse le violenze dei partigiani titini nella Seconda guerra mondiale e vide parte del suo territorio strappato da questi ultimi a conflitto concluso. Si comprende, allora, quanto la vista della stella rossa di Tito rappresenti un’offesa sanguinosa. Molto di più che una semplice “provocazione”, come invece la definiscono alcuni giornali locali. Un episodio che ha un suo respiro nazionale non solo per la sua gravità, ma anche perché si inserisce in quel tracciato di negazionismo e giustificazionismo della tragedia delle Foibe ai cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Con tanto di “storici”, se così possono essere chiamati, che posano allegramente con effigi titini e pretendono di dare lezioni sulle Foibe.
“Gesto artistico”, le deliranti motivazioni dei colpevoli
Gli autori del gesto, ovvero l’associazione Agoré che gestisce alcuni spazi dell’ex municipio di Gorizia, cercano di minimizzare l’accaduto, parlando di “rievocazione filologica” e di “gesto artistico”. Le bandiere titine sono state esposte il 29 marzo, in occasione di una mostra. A detta dell’associazione, le bandiere sarebbero un reperto storico ritrovato fortuitamente proprio nel palazzo di Corso Verdi. Esse risalirebbero al periodo dell’occupazione della città da parte dei partigiani slavi, dal primo maggio al 12 giugno 1945. L’associazione Agoré avrebbe semplicemente rimesso le bandiere al loro posto d’origine. Ma la pezza è peggio del buco: non spiega nulla e anzi va a creare un filo diretto con una pagina certamente non edificante – per usare un eufemismo – come l’occupazione titina, che nella loro nota definiscono con malcelata tartuferia “amministrazione”. Non una rivendicazione aperta di quelle violenze e di quei soprusi, ma poco ci manca.
Michele Iozzino