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Quel cofanetto misterioso in cui è celato il segreto dell’Europa

by La Redazione
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Europe_satellite_orthographicAncora una puntata della nostra inchiesta sull’Europa e il futuro degli Stati nazione. Al primo articolo del tedesco Philip Stein sono seguiti quelli di Gabriele AdinolfiMatteo RovattiFrancesco BocoValerio Benedetti e Giovanni Damiano. [IPN]

Roma, 5 mag – Agli inizi del nuovo secolo, come si ricorderà, una delle poche questioni “ideali” sollevate in rapporto all’elaborazione del trattato costituzionale dell’Unione Europea fu quella relativa alle “radici” dell’Europa da indicare nel Trattato. Sostanzialmente ne nacque una lotta tra il mondo cattolico, sollecitato dallo stesso papa Giovanni Paolo II a far valere le “radici giudaico-cristiane“, e il mondo “laico”, che di fatto dimostrò la sua forza egemonica ottenendo che il Preambolo della Costituzione recitasse che i costituenti si erano ispirati “alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, e dello Stato di diritto”. L’idea della Chiesa Cattolica di parlare non semplicemente di radici “cristiane”, ma “giudaico-cristiane”, per trovare supporto nello stesso mondo dell’ebraismo europeo ai fini dell’accettazione di una “signatura” religiosa nella Carta della nuova Europa, si doveva dimostrare fallimentare, mentre già si affacciava, a quel punto, persino la pretesa dell’Islam europeo circa la necessità di ricordare il contributo della cultura arabo-islamica alla nostra civiltà. In fondo, la scelta finale, oltre a riflettere gli obiettivi rapporti di forza entro la Ue, deve essere considerata la sanzione ufficiale della natura dell’Europa qual è allo stato di fatto, ovvero una realtà ideologicamente, politicamente, socialmente ed economicamente costruita su radici esclusivamente moderne, illuministiche, razionalistiche, liberaldemocratiche e, sotto il profilo economico, ormai prevalentemente liberistiche; tutto ciò con la pretesa di rappresentare pure quanto di più alto abbia mai concepito l’intera umanità entro il divenire storico.

Chi rifiuti l’Europa così come la sta costruendo la Ue, e sia anche critico verso tutto il percorso storico che ha condotto all’epoca della cosiddetta “secolarizzazione”, non può tuttavia rinunciare ad un suo progetto di Europa, che, comunque possa definirsi nella sua concretezza politica (fosse anche quello di un ritorno sic et simpliciter agli Stati nazionali), non può lasciare inevasa la domanda sulle “radici”, sulla “identità”, sulla “spiritualità”, ovvero sulle parole oggi in odio all’eurocrazia dominante, ai suoi satrapi, ai suoi pretoriani mediatici. Ma anche là dove ci si batte a favore delle “parole proibite” vi è conflitto. Vi è chi si richiama a radici precristiane, il cristianesimo essendo oggettivamente nato fuori dall’Europa e avendo non poco alterato le originarie disposizioni spirituali dei popoli del Continente, mentre vi è chi identifica senz’altro, come già Novalis, Cristianità ed Europa. Tuttavia un giudizio equilibrato, che non riguardi preferenze di singoli intellettuali o gruppi minoritari, ma il destino dei popoli europei tutti, non può che comporre radici precristiane e radici cristiane. E avrà pure un senso se un Dominique Venner, pur non cristiano, lascia il suo drammatico messaggio finale dentro la cattedrale di Notre-Dame piuttosto che tra le pietre di Carnac o dentro l’anfiteatro di Arles.

La storia dell’Europa è chiara. Grecia e Roma non sono l’Europa, ma solo una parte, per quanto irrinunciabile, dell’Europa. L’Impero romano stesso non arriverà mai a coincidere con la totalità neanche della sola Europa occidentale, mentre si estenderà su parti non irrilevanti dell’Africa e dell’Asia. L’Europa è piuttosto una creatura del Medioevo, e il Medioevo, come tutti abbiamo letto in tutti i libri di storia, è una sintesi tra cristianesimo, eredità romana e greca, cultura germanica e, sul versante orientale, slava. Certo, l’Europa medievale non sarà mai neanche essa una politicamente, ma sarà tutta cristiana, pur nella divisione tra Chiesa latina e Chiesa greco-slava, e soggetta finalmente tutta all’influenza culturale che ancora e sempre eserciteranno cultura latina e cultura greca. E comunque, politicamente, Ovest ed Est vivranno pur sempre entrambi nel mito e nel tentativo di mantenere/ricostruire l’Impero romano, avranno in buona misura similari strutture politiche e socio-economiche, quelle feudali in primis, istituzioni con appartenenze sovranazionali come gli ordini monastici e cavallereschi e i centri universitari. Il cristianesimo, dal canto suo, sarà totalmente rimodellato, ovunque, dal substrato cultural-religioso originario, mediterraneo, celtico, germanico, slavo. Uno storico come Luciano Canfora, forse esagerando, arriva a dire che il cristianesimo finirà per divenire una trasformazione dell’antico politeismo, risultando un parente piuttosto strano di monoteismi puri come l’ebraico e l’islamico. Non esiste, pertanto, altra Europa. L’Europa è questa. Ciò che la precede non è ancora Europa, perché Cesare (così fondamentale per l’Europa da dare perfino il suo nome al Kaiser e allo Czar) non è l’Europa, e non lo è neanche Vercingetorige, ovviamente.

Voglio dunque proporre un simbolo di ciò che è questa Europa delle vere “radici”. Si tratta di un oggetto di cui non leggo se non in scritti di studiosi di storia dell’arte e che non vedo mai ritratto e spiegato sui manuali di storia né nei programmi di divulgazione storica. Eppure è uno straordinario, quanto mai eloquente testimone delle radici di questa nostra Europa il cui nome non sappiamo più se benedire o maledire. L’Europa delle “radici” sta in un cofanetto smembrato tra Londra e Firenze. E’ il Cofanetto Franks (detto anche Cofanetto Auzon): uno scrigno degli inizi dell’VIII secolo, proveniente (parrebbe), dalla Northumbria, allora uno dei sette regni anglo-sassoni e protagonista di una notevole fioritura artistica, con influssi tanto germanici quanto latini. Oggetto per alcuni concepito ed usato (per contenere i Salmi? per custodire un oggetto sacro?) in ambito monastico, per altri (vedi la studiosa italiana Nicoletta Francovich Onesti) in ambito aristocratico e laico (uno scrigno per gioielli?), attraverso vicende non ricostruibili giunse in Francia in epoca imprecisabile (ma potrebbe esservi arrivato a seguito delle razzie normanne). Nel XIX secolo lo ritroviamo nell’Alta Loira, ad Auzon (da qui il secondo dei suoi due nomi), a svolgere il modesto ruolo di scatola per il cucito presso una normale famiglia del luogo, che però, vendendone poi i cardini e altri pezzi d’argento funzionali alla tenuta dell’insieme, finì per ridurre lo scrigno allo stato di pannelli separati che ebbero la seguente sorte: comprati a Parigi nel 1857 da sir Augustus Wollaston Franks (da qui il primo dei nomi), questi li donò nel 1867 al British Museum, dove si trovano tuttora. Ma il pannello di destra, rimasto ad Auzon, fu invece più tardi venduto al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, e qui identificato come parte del “Cofanetto Francks” già nel nel 1890 (il British Museum ne possiede un calco, l’originale è sempre custodito al Bargello). 13162105_959203460863428_120865819_n

Il Cofanetto è un raffinato manufatto in osso di balena e i suoi cinque pannelli sono decorati con complessi bassorilievi dotati di iscrizioni in rune anglosassoni, ma con presenza sul pannello posteriore anche di parole in lingua e in alfabeto latini. A questa sintesi linguistica corrisponde anche una sintesi culturale, che unisce elementi cristiani e pagano-romani e germanici. Non sarà inutile darne una descrizione il più possibile precisa, pur nei limiti di un articolo non specialistico. Il pannello frontale presenta una precisa bipartizione germano-cristiana. Nella parte sinistra è raffigurata una scena relativa alla vendetta del mitico fabbro Weland (figura presente nell’Edda come nel Beowulf). Weland, reso zoppo e schiavo dal malvagio re Niðhad, è ritratto all’estrema sinistra nella sua fucina, sotto la quale giace il cadavere decapitato di uno dei figli del re, dal cui cranio il fabbro forgia un calice che tiene tra le tenaglie impugnate con la mano sinistra, mentre con la destra offre un altro calice colmo di birra a Beaodohild, la figlia di Niðhad, vicino alla quale sta un’altra figura femminile (nel mito Beaodohild sarà stuprata da Weland, grazie alla bevanda drogata). A destra della stessa parte sinistra, la storia di Weland prosegue mostrando lui che cattura degli uccelli (il mito racconta che fuggirà dalla sua prigionia grazie alle ali costruite con le loro piume). Nettamente separata da un elemento decorativo verticale, la parte destra cambia totalmente registro, raffigurando l’adorazione dei Magi che guidati dalla stella cometa si avvicinano a Maria in trono con il Bambino. Curiosamente i Magi (accompagnati dalla scritta MÆGI che pur dovrebbe essere superflua), sono preceduti da un’oca, che alcuni studiosi identificano con lo Spirito Santo, il che è sicuramente giusto, ma entro un percorso che non dimentica il retroterra celtico e germanico che vede l’oca “come uccello divino e annunziatore degli dèi del cielo” (Franco Cardini).

Col pannello di sinistra ci si sposta a Roma. Sono infatti ritratti Romolo e Remo allattati dalla lupa, curiosamente supina, così che i gemelli sono a piedi in su. Ma sovrastati da una seconda lupa (un trasferimento della gemellarità allo stesso animale sacro? potrebbe essere, poiché da entrambi i lati guardano verso il centro pure coppie di guerrieri inginocchiati e armati di lance, ribadendo il simbolismo bipolare). Se il pannello frontale era incorniciato in una iscrizione runica che proponeva un indovinello relativo all’osso di balena che ha fatto da materia per lo 13162019_959203724196735_249245653_nscrigno, il pannello “romano” presenta invece una appropriata cornice interpretativa, l’iscrizione runica recitando: “Lontano dalla terra natia / Romolo e Remo, due fratelli / la lupa li ha allevati nella città di Roma”. Il pannello posteriore è ancora “romano” ed è il più chiaro di tutti, già nel suo contenuto oggettivamente storico e non leggendario, venendo raffigurato l’assedio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d.C. E’ l’iscrizione stessa, che mescola inglese antico e latino, a delucidare la scena: “Qui combattono Tito e i Giudei: / Qui gli abitanti fuggono da Gerusalemme”. Al centro della scena quello che gli studiosi ritengono probabilmente il tempio di Gerusalemme. I Romani (in alto a sinistra) lo attaccano guidati da Tito che brandisce la spada; gli Ebrei (in alto a destra) scappano; un giudice (in basso a sinistra), seduto, pronuncia il suo verdetto sul destino dei Giudei presso la parola runica Dom (giudizio), quindi (in basso a destra) uno schiavo o ostaggio viene condotto via dai soldati presso la parola Gisl (ostaggio).

Il coperchio purtroppo non ci è pervenuto integro. Il suo bassorilievo mostra un arciere (da destra) che difende da solo un fortilizio, entro il quale è al riparo una donna seduta. I nemici attaccano da sinistra. I più lontani hanno proporzioni gigantesche, tanto che l’interprete più ardito, Alfred Becker, lo legge come illustrazione del conflitto cosmologico tra Asi e Vani. Ma la tesi prevalente vede nell’arciere il fratello di Weland, Egil, e nella donna seduta sua moglie Ölrún. In effetti sul coperchio figura la parola “ÆGILI” (v’è chi ha pure sostenuto che sarebbe da riferirsi al greco Achille, e la scena dunque da ricondurre alla vicenda della caduta di Troia; vi sono poi altre interpretazioni grecizzanti, ma ancora meno sicure). Trattandosi del coperchio, si è pensato pure che la sua illustrazione abbia carattere apotropaico, come se l’arciere dovesse proteggere lo scrigno da dei profanatori, da persone diverse dal legittimo destinatario. Il pannello di destra è il “nostro”, quello del Bargello. Ed è quello più impenetrabile. A sinistra, un animale non identificabile, antropizzato, sta seduto su un cippo mentre gli si para davanti un guerriero con elmo, lancia e scudo tondo. Al centro, un cavallo che invece questa volta ha di fronte una figura non ben definita, forse una valchiria con una coppa, mentre tra i due è posto un tumulo funebre. All’estrema destra tre figure umane mantellate: quella al centro è tenuta stretta dalle laterali. L’iscrizione runica riferita alla scena presenta problemi interpretativi, per cui nulla di assolutamente certo si può dire, né sulle immagini né sul senso esatto delle parole che la accompagnano, ma che comunque rimandano a un contesto di morte e di sventura, non senza, come suggerisce la Francovich Onesti, un tentativo di stornare il malaugurio dal possessore del cofanetto. 13169931_959203827530058_733082033_o

Molto sinteticamente, mi limiterò a dire che vi è chi ha ritenuto che la scena rimandi al mito di Sigurd (Sigfrido) e che il cavallo al centro sia Grani, il destriero dell’eroe, chinato sulla sua tomba; altri vi vedono rappresentata la morte di Baldr (qui le tre figure mantellate sarebbero le Norne); altri ancora, tra cui l’italiana Rita Caprini, i mitici fondatori dell’Inghilterra anglosassone Hengist e Horsa, i cui nomi significano entrambi “cavallo”: Horsa muore in battaglia, e questo spiegherebbe il cavallo presso il tumulo; Hengist, che Beda ci presenta come discendente da Odino, diventerà re. Non sembrano essere molto accreditate le soluzioni di altri interpreti, che vi vedono invece elementi biblici (il destino di Nabucodonosor nel Libro di Daniele) o desunti dai vangeli apocrifi (la punizione di Satana secondo il Vangelo di Nicodemo, che ebbe traduzione anglosassone). Come ho già detto, il Cofanetto Francks è un oggetto particolare anche dal punto di vista linguistico e alfabetico. Oggi si tende sempre più a ritenerlo concepito secondo una struttura coerente tanto nell’ordine delle immagini che delle parole, e con un valore per alcuni ludico-enigmistico e per altri – Becker soprattutto – decisamente magico-simbolico. Ognuna delle iscrizioni valorizzerebbe in particolare, tramite il procedimento fonosimbolico dell’allitterazione, una determinata runa, in stretta connessione con il significato delle immagini dei pannelli corrispondenti. Per cui, ad essempio, quella che per certuni è una incongruenza, oppure una opposizione ideologica: la compresenza sul pannello frontale della scena pagano-germanica e della scena evangelica, si scioglierebbe nei versi allitterativi dei suoni F e G, ovvero nelle rune FEOH (“ricchezza”, “tesori”) e GIFU (“dono”), suggerendo come in un rebus lo scopo stesso del cofanetto: SINC-GIFU, “dono di tesori”). Nel pannello “romuleo”, invece, è dominante il suono R della runa RÁD, “viaggio”, con riferimento alle peripezie dei due gemelli. Il suono T della runa TYR, o TIW o TIR in anglosassone, che è quella del dio della vittoria, contrassegna il pannello relativo a Tito, la cui forza vittoriosa si riverbera sul possessore celebrato dal cofanetto, che per Becker è una figura guerriera in un contesto ancora fortemente pagano. Non mancherebbe neanche un aspetto numerologico, giacché vi è stato l’intenzionale disegno di raggiungere, almeno su tre facce, anche attraverso alcuni procedimenti linguistici e ortografici inusuali, per ogni iscrizione il numero di 72 grafemi, tale numero avendo carattere magico e sacrale sia in ambito pagano che giudaico-cristiano, equivalendo altresì a 3 volte il numero 24, che corrisponde al numero originario, e di buon auspicio, del futhark antico, l’alfabeto runico anglosassone.

Chiunque fosse il misterioso destinatario (forse una coppia di sposi) e qualunque fosse l’oggetto prezioso che il Cofanetto in osso di balena doveva contenere, noi forse oggi potremmo (e dovremmo) leggerlo come un messaggio destinato a noi Europei tutti, affinché ci sia chiaro quali siano stati i “materiali” su cui si è costruita la nostra identità, poiché già allora, agli albori dell’Europa medievale, ci si poneva il problema delle radici, e Romolo e Remo, Sigfrido e Gesù bambino riuscivano a chiudere i lati della “casa comune” da costruire con le ossa della balena europea, unendo la numinosità del Sacro e la forza guerriera e la creatività fabbrile di doni, di beni, di ricchezza. Forse gli dèi antichi (anche il Bimbo venerato dai Magi lo è) non ci riusciranno più. Ma se è così, non chiamiamola più Europa.

Sandro Consolato

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7 comments

nota1488 5 Maggio 2016 - 12:34

L’Europa è solo un tipo razziale umano: gli Europei, differenziati a livello genetico dal resto del pianeta e dell’umanità. Questa è l’unica verità irriducibile, la cultura è solo un prodotto razziale: quando fa del bene vuol dire che la razza è in salute, quando ha effetti deleteri vuol dire che la razza muore.

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Anonimo 5 Maggio 2016 - 1:19

Bell’articolo. In effetti, il cristianesimo medievale è una sintesi fra il cristianesimo primitivo e “paganesimo” europeo. In questo senso, sulla scia di Gioberti, si potrebbe parlare di una “poligonia del cristianesimo”. Così è come verissimo che la configurazione attuale del nostro continente deriva per la maggior parte dal Medioevo, tant’è che gli studi sulla “etnogenesi” partono esattamente da lì. E’ questo il motivo, tra l’altro, per cui vi furono fascisti cristiani (sostenitori di UN determinato cristianesimo) e fascisti “pagani”. Quello che veramente nega questo sincretismo culturale è solo l’egualitarismo “secolarizzato”, nato con l’Illuminismo e oggi rappresentato dal “mondialismo”. Tuttavia questo particolare sincretismo “pre-moderno” nasconde una tensione mai risolta. Esso rappresenta certo una “unità di opposti” che può essere quanto mai feconda, ma il conflitto è evidente. Questo tema, pertanto, meriterebbe di essere approfondito.

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Valerio Benedetti 5 Maggio 2016 - 1:22

Bell’articolo. In effetti, il cristianesimo medievale è una sintesi fra il cristianesimo primitivo e “paganesimo” europeo. In questo senso, sulla scia di Gioberti, si potrebbe parlare di una “poligonia del cristianesimo”. Così è come verissimo che la configurazione attuale del nostro continente deriva per la maggior parte dal Medioevo, tant’è che gli studi sulla “etnogenesi” partono esattamente da lì. E’ questo il motivo, tra l’altro, per cui vi furono fascisti cristiani (sostenitori di UN determinato cristianesimo) e fascisti “pagani”. Quello che veramente nega questo sincretismo culturale è solo l’egualitarismo “secolarizzato”, nato con l’Illuminismo e oggi rappresentato dal “mondialismo”. Tuttavia questo particolare sincretismo “pre-moderno” nasconde una tensione mai risolta. Esso rappresenta certo una “unità di opposti” che può essere quanto mai feconda, ma il conflitto è evidente. Questo tema, pertanto, meriterebbe di essere approfondito.

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Ermanno Z. 6 Maggio 2016 - 1:02

Ottimo articolo. Come toccare un argomento poco battuto e sviscerarlo da cima a fondo.

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Paolo 9 Maggio 2016 - 4:35

Incredibile, opera d’ arte e documento irripetibile al tempo stesso.
Articolo coinvolgente dalla prima all’ ultima riga, sembra di compiere un viaggio a ritroso nel tempo.

Complimenti vivissimi all’ autore.

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Anonimo 6 Maggio 2016 - 7:30

questo articolo mi ha appassionato dalla prima all’ ultima riga. Europa non è solo un sostantivo.

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Nessuno 7 Maggio 2016 - 10:16

Complimenti, non conoscevo e mi informerò.

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