Roma, 24 apr – Hollywood torna a indossare i panni del grande salvatore del mondo e lo fa – come sempre – nel modo più spettacolare possibile: cambiando il regolamento degli Oscar per permettere la candidatura anche a rifugiati e richiedenti asilo.
Hollywood versus Trump
Una mossa che, più che promuovere l’arte, sembra voler lanciare un messaggio politico chiaro contro Donald Trump e la sua linea dura sull’immigrazione. L’industria del cinema statunitense, da tempo ridotta a megafono del pensiero unico liberal-progressista, approfitta così ancora una volta del palcoscenico internazionale per imporre la sua visione del mondo. Non si premia più il talento, ma l’aderenza a un’agenda ideologica: quella dell’accoglienza senza limiti, della cancellazione dei confini e della sostituzione culturale.
Hollywood, gli Oscar e la diaspora culturale
Tuttavia, questa ennesima forzatura arriva in un momento di crescente tensione all’interno dello stesso sistema cinematografico americano. Come riportato recentemente anche dal Primato Nazionale, esiste oggi una “diaspora” culturale e produttiva che vede sempre più registi, sceneggiatori e produttori allontanarsi da Hollywood per cercare nuove forme espressive in luoghi come il Texas. Uno spostamento non solo geografico, ma anche simbolico: dal cuore ideologico del progressismo verso territori dove libertà artistica e identità sembrano ancora avere un senso.
Lontano dalla California
La politicizzazione degli Oscar, ormai completa, trasforma il cinema in uno strumento di militanza globalista, snaturando la funzione artistica e riducendola a mera propaganda. Ma il pubblico, stanco di sermoni e finzioni, potrebbe non restare a guardare. E forse, lontano dai riflettori californiani, sta già nascendo il vero rinascimento del cinema americano.
Vincenzo Monti