Roma, 28 set – La storia dell’umanità è piena di progetti nati da un’urgenza personale che di base si sapeva fossero destinati ad un sicuro fallimento nell’immediato. Ma che, con il tempo, avrebbero ottenuto il meritato riconoscimento. Uno di questi, ne sono certo, sarà il caso della mastodontica opera cinematografica Horizon: An American Saga. Una realizzazione ideata, scritta, diretta, prodotta ed interpretata da Kevin Costner.
Un western vecchio stampo
Cosa infatti ci può essere di meno attraente per il grande pubblico nel 2024 di un western vecchio stampo destinato al grande schermo e diviso in quattro capitoli di tre ore l’uno, nell’epoca in cui la soglia di attenzione si misura in media sulla lunghezza di un video di TikTok?
Costner ha sempre amato e bazzicato nelle sue pellicole il territorio del Far West. Ma dopo il successo come protagonista della serie Yellowstone, ha deciso di investire tempo e una parte decisamente considerevole delle sue risorse finanziare in un progetto che aveva in testa da parecchi anni. Ossia quello di raccontare, attraverso la fondazione della città immaginaria di Horizon, la creazione del mito americano. Senza né esaltarlo né condannarlo, ma mostrandolo in tutte le sue sfaccettature e contraddizioni per aiutarci a capire anche il presente. La storia ha inizio nel 1859, quando i primi coloni arrivano in questa landa desolata per porre le basi del nuovo insediamento. Finendo presto vittima degli Apache. O, per meglio dire, di alcuni Apache.
Ormai però il seme della speranza di un nuovo futuro era stato posto e da lì il racconto, sempre corale, si dipanerà anche durante la Guerra Civile attraverso le varie fasi della nuova città, che attrarrà i personaggi più disparati. Fuorilegge, soldati, mercenari, donne in cerca di riscatto, emigrati cinesi e afroamericani, nativi, artisti, avventurieri e uomini d’affari. Ognuno con la sua diversa visione di cosa dovrà diventare una terra fino ad allora vergine delle leggi dell’uomo, ma che si è basata esclusivamente su quelle della natura. E della logica spietata del più forte.
L’ambizioso progetto di Costner
Un progetto tremendamente ambizioso, che è un piacere per gli occhi (il paesaggio del West viene mostrato con lo stesso rispetto e la stessa magnificenza del maestro del genere John Ford). Ma che appassiona anche per trama e per i dialoghi magnificamente scritti. Kevin Costner si ritaglia il ruolo di Hayes Ellison, un mercante di cavalli che è l’uomo di mezzo tra il vecchio mondo, dove contava solo l’abilità nell’usare la pistola e quello che sta per nascere dove l’abilità negli affari conduce al successo.
Inutile dire che tutti i media liberal hanno stroncato il primo capitolo, accusando niente meno che di razzismo (che ci sta sempre bene) il buon Costner. Lo stesso che nel 1990, con Balla coi lupi, aveva così magnificamente dato un immenso tributo alla cultura dei nativi. Cosa che accade anche in Horizon peraltro, tanto che essi stessi sono stati consultati per apportare le loro idee alla pellicola.
Ma si sa, tutto ciò che non è woke oggi non va bene. Il film viene accusato di mostrarci le varie razze in conflitto tra loro (un avviso per queste anime belle: accade lo stesso pure ora). E, addirittura, di farci vedere alcune scene nelle quali le donne vengono picchiate! Apriti cielo, dunque. A questi tristi personaggi non importa che venga rappresentato come fosse realmente il mondo nel 1800. Vorrebbero invece un film che reinventi la storia come piace a loro. Del resto ora abbiamo pure Anna Bolena di origine africana, quindi perché non metterci un trans che si aggira per il West?
Horizon, un progetto da assaporare
Il secondo capitolo è stato mostrato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia. Dove ha ricevuto la stessa sorte della prima parte: standing ovation da parte del pubblico e velenosa bile da parte dei critici. Per il terzo e il quarto capitolo Kevin ha detto che non sa come farà a realizzarli per via dei costi. Ma ha sostenuto che finirà l’opera, fosse anche l’ultimo progetto al quale si dedicherà. E, francamente, dopo essermi gustato il primo non vedo l’ora e non ho assolutamente fretta. Nell’epoca dove tutto è fast e del binge watching della serialità tv, ben venga un progetto che lasci il tempo di venire desiderato, assimilato e poi assaporato. Come appunto la costruzione di una nuova città e di una nuova comunità.
Roberto Johnny Bresso