
Con questa ultima asta il debito nostrano sembra rientrare fra le normali attività sui debiti sovrani considerati affidabili. Si conferma così quel percorso più volte denunciato da questo giornale e già applicato in Grecia: se la speculazione sui titoli di Stato è servita a rastrellare liquidità a debito e ad installare governi compiacenti verso le esigenze dei mercati, oggi la riforma del mercato del lavoro, del sistema pensionistico, e la cessione delle ultime industrie strategiche nazionali, rappresentano il sacco dell’economia reale e la trasformazione del nostro tessuto produttivo e sociale nell’ennesimo scenario adatto alle esigenze dell’economia globale.
Ricordiamo l’ultimo declassamento italiano di Standard & Poor’s: l’agenzia Usa degradava i nostri titoli di debito a BBB-, cioè quasi a livello “spazzatura”. Questi titoli, dunque, così rischiosi, sarebbero dovuti arrivare sul mercato con rendimenti altissimi seguendo le logiche di rischio, a loro volta confermate da dati macroeconomici in costante caduta libera. Così non è stato in quest’ultima asta di Btp. Infatti il messaggio di S&P restava volutamente contraddittorio: declassava il nostro debito a livelli africani, pur mantenendo un outlook (una prospettiva) positivo. In soldoni, l’agenzia di rating certificava la fine della nostra sovranità economica: la pressione sul debito come minaccia costante, l’economia reale nel mirino, l’austerity e l’impoverimento nazionale come obiettivo ultimo.
Giacomo Petrella