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La pandemia dei poveri e il socialismo dei ricchi. Due anni di politiche fallimentari

by Filippo Burla
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Roma, 18 gen – Una vera e propria redistribuzione della ricchezza. Non nel senso “comune” del termine, bensì in quello opposto: dal basso verso l’alto. E’ una delle (tante) eredità della pandemia, che rende i poveri sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi.

La pandemia dei poveri

La denuncia arriva dall’ultimo rapporto Oxfam – già eloquente dal titolo: “La pandemia della disuguaglianza” – nel quale si sottolinea come anche in Italia, così come nel resto del mondo, si siano acuiti gli squilibri sociali. A beneficio, ovviamente, della parte alta della piramide: “La ricchezza netta complessiva dei miliardari italiani – si legge – ammontava a inizio novembre 2021 a 185 miliardi di euro, mostrando un incremento in valori reali del 56% dal primo mese della pandemia (+66 miliardi di euro). I 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30% degli italiani più poveri (18 milioni di persone adulte)”.

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A poco, insomma, sono servite le misure del governo (Conte bis prima, Draghi poi) per mitigare gli effetti di lockdown, confinamenti e via discorrendo. Tanto che “le famiglie in povertà assoluta – prosegue lo studio – sono passate da 1,6
milioni nel 2019 a 2 milioni nel 2020 (con una variazione dell’incidenza annua dal 6,4% al 7,7%). A livello individuale oltre 1 milione di nuovi poveri (per un totale di 5,6 milioni) sono rilevati dall’ISTAT nel 2020 (con l’incidenza della povertà assoluta individuale che ha toccato quota 9,4%, in aumento di 1,7 p.p. dal 2019″.

Il “socialismo dei ricchi” passa dalla svalutazione del lavoro

Non si tratta di fare del pauperismo o, di converso, lamentare disuguaglianze sempre esistite e che sempre esisteranno. Un conto, però, è osservare l’esistente. Un altro quello di denunciare politiche scellerate le quali non fanno altro che acuire il trasferimento di ricchezza in atto.

C’è chi, in tempi non sospetti, aveva parlato di “socialismo dei ricchi“. Il Covid-19 sembra arrivato apposta per consolidare e puntellare una tendenza già in atto da anni. Se non addirittura decenni. E che vede, tra le altre cose, nel lavoro uno dei grimaldelli. Già nel 2019, segnala sempre l’Oxfam, “l’11,8% dei lavoratori occupati per almeno 7 mesi all’anno era povero”. Vale a dire che, nonostante un contratto in tasca, il loro reddito non era “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (parole non nostre né dell’ong britannica, bensì dell’articolo 36 della Costituzione). La quota dei working poor, i lavoratori poveri, con la pandemia non ha fatto altro che aumentare. Spinta soprattutto dal precariato: “La fase di espansione economica […] del 2021 si è contraddistinta da assunzioni con contratti a termine, la cui incidenza è tra le più alte in Europa”.

Filippo Burla

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1 commento

fabio crociato 29 Gennaio 2022 - 8:52

La pandemia per i poveri ha consentito il magna-magna dei pezzenti, sotto la visione distrattamente interessata dei veri ricchi, materialìsticamente parlando.

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