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Popolare di Bari: il triste epilogo di un film già visto

by Salvatore Recupero
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banca popolare di bari

Bari, 19 dic – La Popolare di Bari (Bpb) alla fine è riuscita ad evitare (almeno per il momento) il crac. L’intervento del governo Conte ha consentito all’istituto di credito pugliese di salvarsi. Incredibilmente, i pentastellati, da sempre ostili al salvataggio delle banche, si sono convertiti sulla via di Bari. C’è da dire che Di Maio&Co pur di non essere accusati di incoerenza hanno abilmente camuffato quest’operazione. Il governo non si è limitato ad intervenire attraverso la controllata Invitalia, immettendo un capitale di 900 milioni a risanamento della situazione (diventando di fatto nuovo azionista unico). Nel decreto c’è spazio anche per un progetto di più ampio respiro: la nascita di una banca di investimento. Tutto ciò avverrebbe con un finanziamento a Invitalia pari a 900 milioni per quest’anno per potenziare il patrimonio di Mediocredito Centrale perché promuova lo sviluppo di attività finanziarie e di investimento, anche a sostegno delle imprese nel mezzogiorno. Forse Conte ha in mente una nuova Cassa del Mezzogiorno? Questo è ancora presto per dirlo. È doveroso, però, capire come la Popolare di Bari si sia ridotta così male.

A cosa è servita la vigilanza della Banca d’Italia?

Come sempre avviene in casi come questo, tutti si chiedono perché Banca d’Italia non ha vigilato. Stavolta via Nazionale ha giocato d’anticipo e per questo ha redatto un lungo documento contenente informazioni relative alle principali iniziative intraprese negli ultimi dieci anni. Ora,  che la Bpb non godesse di buona salute non era un mistero per nessuno: già dal 2010 l’istituto centrale aveva avviato accertamenti ispettivi, che si conclusero con una valutazione “parzialmente sfavorevole”. Allora le verifiche evidenziarono, in particolare, “carenze nell’organizzazione e nei controlli interni sul credito”. Da qui parte il un lento declino di una banca che rischia di travolgere l’economia locale. Alla Popolare di Bari fanno capo poco meno di 600mila clienti, tra cui oltre 100mila aziende: a queste ultime è riferibile circa il 60% degli impieghi (intorno a € 6 mld). I depositi da clientela assommano a 8 miliardi, di cui 4,5 di ammontare unitario inferiore a 100mila euro e come tali protetti dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD). La banca ha quote di mercato significative, nell’intorno del 10%, sia degli impieghi sia della raccolta, in Puglia, Basilicata e Abruzzo.

Il ping pong tra l’istituto di credito barese e Palazzo Koch dura da quasi dieci anni, senza produrre alcun beneficio. Il commissariamento di oggi ci dimostra l’inefficacia degli organi di vigilanza.

Prestiti in cambio di azioni e favori agli “amici”

Purtroppo, questa vicenda non stupisce nessuno. Riviviamo i giorni del crac delle Popolari venete o di Mps per non parlare poi di Etruria, Carichieti e Banca Marche. Gli unici ad essere indignati sono i dipendenti della Popolare di Bari e soprattutto i suoi azionisti. Infatti, come è stato detto prima, anche nel capoluogo pugliese non sono mancati le cosiddette “operazioni baciate”, (di cui si è molto parlato dopo il crac della Popolare di Vicenza).

Anche se Banca d’Italia sembra affermare il contrario, è lecito però avanzare qualche dubbio. Secondo Via Nazionale negli anni precedenti nel 2015 il numero di soci della banca è lievitato dai circa 60mila di fine 2013 a oltre 69mila. E più del 20% dei soci è titolare di un prestito concesso dall’istituto. Come diceva qualcuno a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Da segnalare, inoltre, la pratica scorretta del finanziamento del capitale con soldi della banca. Una prassi che porta a sovrastimare il capitale e dunque la solidità dell’istituto. Un artifizio che si è verificato in decine di casi, sia in occasione degli aumenti di capitale del 2014 (300 milioni) e 2015 (30 milioni) sia per operazioni sul mercato secondario e in occasione della vendita di obbligazioni subordinate nello stesso periodo. Come avvenne ai tempi della Etruria o di Mps anche in questo caso c’è una lunga lista di creditori. Ovviamente non si tratta solo di piccoli imprenditori ridotti sul lastrico dalla crisi economica. Come riportato dal quotidiano La Verità la dirigenza della Bpb è stato a dir poco molle sia sui tempi che sulle modalità di rientro delle esposizioni. Gli esempi sono tanti, citiamo solo i più importanti. Dal Gruppo Fusillo che ha lasciato un buco stimato in 140 milioni di euro, a fronte di un’esposizione bancaria di 400 milioni di euro distribuiti alle diverse società del gruppo. Poi c’è Il Gruppo Nitti ha invece fatto registrare oltre 5 milioni di sofferenze su quasi 13 milioni di esposizione. L’acquisizione della banca Tercas nel 2014 portò con sé una bella dote di debitori. Pensiamo alla Dierreci costruzioni, (con un’esposizione che supera di poco i 32,5 milioni di euro e ben 21,7 di sofferenze) e Isoldi Spa, (poco più di 17 mila euro in relazione a un’esposizione di circa 30,5 milioni di euro). Gruppi industriali e non pmi.

Come avverrà il salvataggio

Resta ora da capire come avverrà il salvataggio della Popolare di Bari. In pratica, chi metterà i soldi. Il comitato di gestione del Fondo interbancario ha approvato proprio ieri l’accordo con il governo. Nella nota possiamo leggere che Fitd “ha deliberato di esprimere al Consiglio una valutazione favorevole in merito all’istanza formulata dai Commissari”, che hanno chiesto di intervenire nell’aumento di capitale da 1,2 miliardi. La Bpb verrà rianimata grazie ad un forte iniezione di liquidità: 900 milioni dal governo e almeno 300 dal Fondo.

Il Comitato ha benedetto il nuovo corso della banca pugliese esprimendo “preliminarmente soddisfazione in merito al nuovo quadro normativo-istituzionale nel quale si inserisce la situazione della Banca Popolare di Bari, con riferimento all’intervenuto ricambio della governance attraverso il commissariamento della banca e all’emanazione del decreto legge che ha previsto misure urgenti per il rafforzamento del sistema creditizio del Mezzogiorno”. Restano ancora da capire le modalità con cui interverrà il fondo: potrebbe sottoscrivere subito un bond convertibile oppure erogare un finanziamento diretto.

Dunque, tutto è bene quel che finisce bene? Gli azionisti non la pensano affatto così. I risparmiatori proprio ieri hanno manifestato il loro dissenso di fronte alla sede della loro banca. Come si fa a dargli torto? A Bari va in replica la stessa pièce a cui abbiamo assistito a Vicenza così come ad Arezzo. Anche gli analisti temono che, in assenza di un cambiamento del quadro normativo, l’intervento congiunto del governo e del Fondo interbancario per la tutela dei depositi servirà a tamponare l’emergenza. In sintesi, si tratta della solita toppa cucita su vestito ormai logoro.

Salvatore Recupero

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