Roma, 9 mar – Ultimo giorno di naia per i precari della scuola. Da domani si cambia verso. Dopo tanti rinvii, il Governo Renzi metterà nero su bianco i suoi propositi. In particolare si parla di un decreto ad hoc per i precari. L’obiettivo è quello di farli assumere a tempo indeterminato a partire dal prossimo settembre. Sul sito www.labuonascuola.it si delineano già i tratti di questa mirabolante rivoluzione.
Alcuni mesi fa, Renzi annunciò la riforma della scuola, ne indicò 12 punti-cardine: «Mai più precari; dal 2016 solo concorsi; basta supplenze; la scuola fa carriera; la scuola si aggiorna; scuola di vetro; scuola digitale; cultura in corpore sano; le nuove alfabetizzazioni; fondata sul lavoro; la scuola per tutti; tutti per la scuola». In brevis, Renzi promette centocinquantamila cattedre ad altrettanti insegnanti.
Anche se i temi sono tanti, infatti, il tema che stranamente sta a cuore a tutti è la stabilizzazione dei docenti precari. Questo aspetto già la dice lunga sul modo di concepire l’istruzione pubblica. Non parliamo della formazione degli italiani del futuro ma del salario di quelli che insegnano. Attenzione, è bene dire che il comportamento dello stato italiano nei confronti degli insegnanti è inqualificabile, in quanto viola qualsiasi norma di diritto del lavoro. Non si può tacere sul fatto che c’è gente che insegna da dieci anni o più senza avere una cattedra.
Ma come siamo arrivati ad avere una situazione simile. I sindacati hanno una bella responsabilità. Infatti, i fedeli custodi della Costituzione dovrebbero ricordarsi che la Costituzione parla chiaro: “Ad posto pubblico si deve accedere solo per pubblico concorso”. Qualcuno ha preferito altri metodi di selezione.
Facciamo un bel salto indietro. Il precariato all’inizio degli anni settanta era più numeroso: era quasi la metà del personale allora in servizio, il che vuol dire che si aggirava permanentemente intorno al mezzo milione di unità. Era egualmente diffuso a livello nazionale, nelle diverse classi di concorso e nei diversi gradi di scuola. Ed era il frutto del boom scolastico e della mancanza di programmazione: la crescita della scolarizzazione tra il 1960 ed il 1975 era stata così impetuosa da mandare in “tilt” non solo la macchina amministrativa della scuola italiana insieme agli equilibri sociali, ma anche il tradizionale sistema di reclutamento basato sul concorso, fino ad allora nazionale, per cui come si conveniva per tutti gli impieghi pubblici, dal militare al magistrato.
Il movimento degli insegnanti sviluppatosi tra il 1968 e il 1973 rivendicava l’abolizione dei concorsi ordinari e l’immissione in ruolo del personale precario attraverso una formazione universitaria ad hoc e allo stesso tempo tutte quelle misure di riconoscimento dei diritti e dei doveri dell’insegnante.
Negli anni novanta, per motivi demografici, si ridusse il numero di bambini nelle scuole elementari. I sindacati della scuola, imposero (al posto della maestra unica, da sempre in vigore in Italia, con risultati eccellenti) la doppia maestra per ogni classe. In tal modo, gli insegnanti aumentavano di numero anche se gli scolari diminuivano.
Il risultato di queste scelte ci viene mostrato da una inchiesta di Max Ferrario pubblicata sul sito Ilsussidiario.net. Ferrario afferma che: “Basta spulciare le graduatorie delle grandi città, le più significative. Si scopre così che a Milano e a Roma gli insegnanti in graduatoria con meno di 40 anni (i più giovani sono nati nel 1986) sono appena due o tre, mentre gli altri si collocano tutti sopra i 40 anni, con una presenza elevata di over 60. A Roma, nella graduatoria dei precari della scuola secondaria, vi è addirittura un precario di 69 anni. In molti casi, spiega i docenti precari over 60 non insegnano da anni e svolgono un’altra attività. Per questo, sarebbe assurdo farne ora degli insegnanti di ruolo, togliendo così le cattedre a insegnanti più giovani, soprattutto a quelli che non sono mai riusciti a entrare nelle graduatorie, pur insegnando come supplenti con incarichi a tempo”.
Cosa fare dunque per uscire da questo dedalo? Intanto eliminare le scuole di perfezionamento post laurea per chi ambisce al ruolo di insegnanti. Queste scuole hanno soltanto aumentano il costo per la formazione del corpo docente creando migliaia d’illusi. Secondo poi, abbiamo bisogno di concorsi a numero chiuso che rispondano a reali necessità. Terzo, il periodo tra fine dell’università potrebbe essere utilizzato per fare un serio tirocinio. Per esempio come personale dedicato alle scuole serali o per fare corsi ad hoc per gli studenti meno preparati.
Poche proposte che hanno una cosa in comune: la scuola non è un ammortizzatore sociale per dare un buon impiego ai laureati senza prospettive. Ne va della dignità dei docenti e della formazione delle future generazioni.
Salvatore Recupero