Roma, 13 mar – Nella giornata di ieri l’Afghanistan è stato scosso da un violento attacco a una delle sue città principali: Herat. Una potente autobomba è infatti esplosa alle 22 nei pressi della stazione di polizia, causando almeno 8 morti e decine di feriti. Le fonti locali affermano che la portata della bomba è stata tale da danneggiare gravemente dozzine di edifici vicino al luogo dell’esplosione, caratterizzandosi quindi come uno degli attacchi più violenti degli ultimi mesi.
L’attentato non è ancora stato rivendicato, le istituzioni accusano però i talebani. Zabihullah Mujahid – portavoce per la forza eversiva afghana – smentisce però il loro coinvolgimento. Condanne all’attacco sono arrivate dalle istituzioni locali, nazionali e anche dagli Stati Uniti d’America. Joe Biden ha infatti commentato l’evento annunciando un cambiamento dell’agenda statunitense riguardante le sue operazioni nella regione.
Afghanistan, un crescendo di tensioni
L’attacco si inserisce in una più ampia serie di violenze nella nazione centro-asiatica. A un anno dallo storico Accordo di Doha – che vedeva la presidenza Trump raggiungere un’intesa tra talebani e governo – la pace si rileva ancora lontana. Uccisioni di personalità istituzionali, religiose e militari sono all’ordine del giorno, con le due parti che si accusano a vicenda di disattendere l’accordo siglato in Qatar.
Una situazione ulteriormente aggravata dalla presenza dell’Isis. Molte delle violenze che avvengono nella nazione sono infatti rivendicate dallo Stato Islamico. Il governo afgano ha invece attribuito ai talebani diverse azioni che poi sono state rivendicate o associate all’Isis, Kabul accusa infatti non di rado le milizie salafite di voler ostacolare i colloqui di pace, come accaduto a seguito dell’esplosione di ieri.
Le reazioni statunitensi
A dire degli Stati Uniti questo attentato porterebbe a considerare un posticipo del ritiro delle sue truppe. Trump ha infatti lasciato a Biden un’Afghanistan parzialmente “smobilitato” con appena 2.500 truppe presenti sul territorio, soldati che comunque avrebbero dovuto tornare a casa entro i primi di maggio. Questo evento invece vede gli Stati Uniti riaffacciarsi sul conflitto afgano, con l’annuncio dei ritardi nella smobilitazione.
Washington dice di volere fare ciò in “accordo” con i talebani, sebbene gli stessi chiedano il totale ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan. L’obiettivo sarebbe facilitare il processo di pace salvaguardando il governo di Kabul e garantendo che una transizione costituzionale che ingloberà in una sola carta principi “islamici” e “laici”. Washington sarebbe però in verità interessata a ritirarsi da un teatro che non ha più interesse a occupare, cercando comunque di salvare per quanto possibile la faccia.
Afghanistan, prospettive per il futuro
A trarre i maggiori benefici dagli ultimi eventi sarebbe la Turchia, la quale avrebbe intenzione di “aiutare” Washington a implementare i processi di pace. Ankara godrebbe infatti della fiducia di entrambe le parti coinvolte nel conflitto. Lo riferisce il ministro degli esteri Mevlut Cavusoglu, il quale ha annunciato di voler ospitare in patria nuovi colloqui tra talebani e governo. Ciò darebbe lustro ad Erdogan e approfondirebbe le relazioni con il corrispettivo americano.
Intanto però sul suolo afgano la situazione rimane incerta e a pagare il prezzo maggiore sono proprio i civili di una nazione che da decenni non conosce pace. Il recente attentato, poi, colpisce da vicino anche l’Italia. Herat è infatti il centro delle operazioni italiane in Afghanistan. Roma è seconda solo a Washington nel suo impegno a sostegno del governo di Kabul, con centinaia di militari che rischiano quotidianamente la vita, in nome di interessi che non sono propri di Roma.
Giacomo Morini